Programmazione

UN ROMANZO ONLINE. OGNI LUNEDI' UN NUOVO CAPITOLO.OGNI VENERDI' GLI APPROFONDIMENTI, LE SUGGESTIONI, I RIFERIMENTI CHE HANNO ISPIRATO IL ROMANZO, PER CHI DESIDERA ENTRARE IN UNA DIMENSIONE FATTA DI MUSICA, EVENTI, IMMAGINI, FILM E DIPINTI. UN MELTIN' POT DI INFLUENZE COSI' DA NON DOVER SOLO CREARE CON LA FANTASIA, MA POTER SFRUTTARE AL MASSIMO ELEMENTI CONCRETI E TRASCENDERLI PER ADDENTRARSI NELLE CITTA' IRRISOLTE.
UNA PROGRAMMAZIONE POSSIBILE SOLO SU UNA RADIO CHE NON ESISTE E TRAMETTE OVUNQUE.
OLTRE OGNI EPILOGO.

-R.S. CENCIARELLI-

Monday, December 1, 2008

Chapter 3 - Riot

- Cosa prende?
Lei indicò col dito leggero e fino qualcosa sulla carta delle bevande.
- Un succo alla pera, perfetto, altro?
Lei alzò la mano, il palmo rivolto verso Jonathan Schultz, reclinando leggermente il capo e sorridendo. Non voleva altro.
- La signora fuma?
Lei fece di no con la testa e diede in mano al cameriere il posacenere.
Jonathan Schultz restò irretito da quella figura eterea, capelli chiari lunghi. Rimase per qualche secondo immobile, come se annuisse, ma in realtà si era imbambolato. Lei si sistemò il vestito lungo, svolazzante, sulle gambe sottili, si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro e poi mise una mano davanti alla bocca, con delicatezza, e sorrise.
- ah, sì, scusi, vado, torno…subito!
Il ragazzo si sistemò frettolosamente il taccuino delle ordinazioni nel taschino della blusa bianca e, quasi cadendo sui suoi passi, si girò e, a passo solerte, si diresse verso il bancone.
Tutte a lui.
Arrivato al centro della sala, dove il barman preparava i drink, si fermò a prendere respiro. Sudava. Non pensava che fare il cameriere comportasse questo stress psicologico. Fece un segno al capocameriere con la mano, quello arrivò dall’altra parte della sala.
- Che c’è Schultz? Hai incontrato Dio e ti ha dato il permesso delle ferie pagate per il prossimo anno?
- No…credo di no
- E allora cosa? Non sei l’unico che lavora in questo hotel
- No,certo, scusi signora, ma volevo chiederle…
- Ancora richieste, ed è la prima settimana, santa pace
- No, non è per soldi o permessi
- Benedetta gioventù, dove andremo a finire, siete degli insolenti, ai miei tempi
- Signore?
- Ah, sempre a chiedere questo e quell’altro, soldi, soldi, e niente lavoro
- Signore…
- Se fossi il grande Capo, i calci nel sedere che vi darei, altro che poca fatica e molto stipendio, erano i tempi, non smetterò mai di ripeterlo, quando avevo la tua età, giovanotto…
- Signore!
- Cosa?
- Volevo solo sapere chi fosse quella donna, lì in fondo, al tavolo dove era seduto il professor Angeli
- Ah, okay
- …
- Lei è Liberty Glasgow ragazzo, la famosa cantante folk, di recente si dice faccia cover in patria in un piccolo locale, povera…
- Perché?
- Storia difficile
- …
- …
- Beh?
- Lei non parla, l’unico modo per sentire la sua voce è sentirla cantare, sembra assurdo ma è così, trauma psicologico…
- Cazzo…
- Schultz!
- Scusi signore, volevo dire, che sfortuna!
- Già, una donna così bella, di fascino, tempo fa, quando i suoi dischi erano di gran moda e tu guardavi i Teletubbies Schultz, la signorina Glasgow era una nostra ospite quasi abituale
- Sì?
- Sì, ragazzo, ama molto Roma, non mi ha mai detto perché, una donna di grande fascino, già
- Signore, ha una cotta?
- E chi non l’avrebbe Schultz…
- Effettivamente è una bella…
Uno schiaffo partì verso la nuca di Jonathan Schultz e lo colpì con un gran fragore.
- Ah!
- Non essere volgare ragazzo
- Ma io…
- Smettila
- Come mai è qui la signorina?
- Non ne ho idea, forse è di passaggio e basta, sono artisti, chi può capirli…
- Già, come quell’altro, un vero str…
Altro schiaffo.
- Tu sei qui per servire i clienti ragazzo, non per commentarli
- Ma lei…
- Io sono il capocameriere, devo essere informato su tutto
- Sì, signore
- Ora vai e trattala bene, dille che la saluto e ricordo con molto affetto
- Certo
In realtà Schultz pensò “col cavolo”, visti i due scappellotti.
- Ah ragazzo, quasi mi scordavo, il grande capo dice che non puoi prenderti il permesso, c’è troppo da fare, sarà per un’altra volta…
- E ti pareva
- Devi imparare molto Schultz, ora vai
- Sì, sì
- Ecco il succo ragazzino!
- Grazie barman

Por una cabeza. Astor Piazzola.
- Avanti, sei un ottimo ballerino!
- Questo non significa che voglia ballare
- Davvero sei un ottimo ballerino Matt?
- No…
- Fai vedere a Mary che sai ballare, vecchio babbuino, balla con lei!
- Mary non sa ballare
- Oh è vero Stan, non sono…
- Questo tango è davvero stupendo, lo balli con me professore…
- E tu chi saresti?
- Vanessa Hodgson, reporter, saremo allo stesso tavolo
- Questo dovrebbe convincermi?
- …
- …
- Secondo me è perché non vuole far vedere la sua pancia…
- Cosa?
- Oddio non ci posso credere
Stan Laurel scoppiò a ridere.
- Dico che può ballare anche con la giacca se non vuole mostrare la pancetta o i segni evidenti dell’invecchiamento
- Ma chi cazzo è questa rompicoglioni!
- Vanessa Hodgson, reporter, gliel’ho detto
- Sì, l’ha fatto, ora la smetta di importunarmi
- Veramente è lei che mi sta offendendo
- Oddio, non è possibile
- Cosa non è possibile professore?
- Niente, lasci perdere…vuole ballare?
- Sì
- Bene, tieni prendi la giacca
Matthew Angeli rimase in gilet e diede la giacca a Stan Laurel che continuava a ridere sommessamente
- Okay, andiamo
- Perfetto
- Non si aspetti Al Pacino in Scent of a Woman
- Non avevo intenzione di aspettarmelo
- Ah Dio…prenda la mia mano e cominci a tacere
Vanessa sorrise e cominciò a tacere. Matthew la strinse a sé, una mano a stringere la sua mano, l’altra mano che le teneva il fianco, mentre il braccio la cingeva dietro la schiena. Un passo lento con la gamba destra, in avanti, poi l’altra gamba, sempre strusciando per terra e avanzando, lei indietreggiava, scivolando sul pavimento, così lui si attorcigliò a lei, tenendola forte e ruotarono, poi lui la lasciò e la tenne solo per una mano, così da riportarla a sé, e, proprio quando erano vicinissimi, farla girare, passargli il respiro veloce sul colle, e girarla ancora, riprenderle la mano e il fianco cambiare direzione, passo lungo della gamba destra poi la sinistra, scivolando sul pavimento, poi stopparsi d’improvviso, ruotare le ginocchia repentinamente dal basso verso l’alto, cambio di direzione, giro, prendere lei e stringerle il collo, con passionalità, quasi toccarla con le labbra, poi lasciarla andare, riprenderla, fermarsi, guardare nel vuoto, fare un cerchio con la punta della scarpa destra, piegandosi verso il terreno, scivolando, senza fretta, come quando si fa l’amore, lasciando che l’attesa strugga di piacere il partner, risalire in piedi, dritto sulle gambe veloce, piegare la sua schiena farla scendere verso il basso, la tenne mentre il corpo girava intorno ai suoi fianchi, poi furono di nuovo uno accanto all’altro, lui piegò la gamba e lei si distese su di essa, risalirono, lei portò la sua gamba in mezzo alle sue, lui la fece ruotare nuovamente, si fermarono, oscillarono per un po’ uno davanti all’altro, poi lui lasciò andare e mentre girava la strinse di nuovo al suo corpo, duro, tirato, rabbioso.


- Basta
Disse e si fece ridare la giacca da Stan, mentre si sistemava la camicia nei pantaloni.
- E’ un ottimo ballerino, complimenti professore
- La smetta di eccitarsi tutta per me, andiamo Mary?
- Sì, vengo subito
Lui fece per guardarla, ma poi ritirò indietro lo sguardo e si avviò al tavolo del brunch.
- Come sapevi che ballava così Stan?
- L’avevo visto ballare
- Io non l’ho mai visto in venticinque anni, credevo fosse un pezzo di legno, non è da lui
- Era molto tempo fa, prima che vi conosceste

- Mi chiamo Alexander Colin McMillan e, come saprete, tutti mi chiamano Alex.
Stamattina, sarei dovuto andare all’università. Studio qualcosa che assomiglia ad un corso di Scienze Politiche, con degli innesti approfonditi di Scienze Economiche. Non l’ho capito nemmeno io che studio, non che mi interessi più di tanto entrare nel vivo di questa indagine.
Io vado lì, loro parlano, io saluto, a volte prendo appunti, chiacchiero, ci sono bravi ragazzi, poi torno a casa.
Non mi piace quello che ho deciso di diventare da grande. Allora, verso metà giornata, inizio a scrivere.
Io scrivo poesie, vorrei buttar giù un bel romanzo, ma mi pare già d’avervelo detto.
Ricordate, quando vi raccontai del fatto che sono un ritardatario istituzionale? Sì? Okay.
Già vi ho spifferato che oggi avevo più alti impegni accademici? Sì? Bene.
Quindi, sommate la mia capacità di arrivare sempre dopo l’ora X, e la mia grande voglia di sedermi sui sapienti seggiolini della mia facoltà, ed ecco che mi ritrovo a girare per una libreria, avendo costretto una mia amica ad accompagnarmi. Lei ora mi odia perché non ha mai mancato una lezione, studia a qualsiasi ora, si prepara mentalmente al corso del giorno dopo, ma, in realtà, non sa quanto gli farà bene in futuro un po’ d’aria dei libri. Nei libri, specie quelli nascosti, che leggono in pochi, ci sono nascosti i segreti degli uomini. A volte non sono poi così bastardo, cerco anche di aiutare i miei amici.
A dirvi la verità, però, non credo che amica sia la parola esatta…ricordate Ann? Vi ho già detto che si chiamava Ann?
No, non Anne, quella è la ex ragazza di Jean, per chi mi avete preso? Potrei mai uscire con la ex del mio migliore amico? No, lo so che non mi giudichereste mai uno di quelli lì, il fatto è che oggi come oggi hanno quasi tutti lo stesso nome, quindi, meglio precisare…
- Alex, andiamo?-
- Oh sì, arrivo, arrivo Ann-
- Ann è, come dire, sì, credo abbiate capito…Ann non è una amica, lei è la mia ex. Lo so, lo so…
- Alex! Non possiamo restare tutto il giorno davanti a quella porta a vetri, io salgo al piano di sopra-
- Sì, arrivo-
- Beh, vedete, è lei. Che dire. Lo so, avete ragione a guardarmi così, ma ogni tanto ci ricado. Sapete come vanno queste cose, ti viene voglia di prendere il telefono, di chiamare, poi lasci perdere perché sai che è idiota (infatti lo è), così, alla fine, da bravo idiota, resti a guardare il telefonino, sperando che lei ti mandi un messaggio e, alla fine, ti ritrovi a “Ciao Ann, che fai? Ti va di accompagnarmi in libreria” “No (perché di solito ti prendi tutti gli schiaffi che girano per il vicinato quando tieni a qualcosa, teorema scientifico, altro che amore), “dai almeno stacchi un po’ dallo studio”, “devo pensarci” “ok!” “ti richiamo io” “va bene Ann (e in quel momento ti ripeti e speri che lo faccia davvero, richiamarti dico)”. E, at the very end, signori e signore, mesdames et monsieurs, don y donas, eccomi qua. Non vi ho convinto vero? Guardate che facce che avete? Lo so, avete ragione, sono un cretino…pensate che non lo sappia? Ma che ci posso fare? L’amore è la scienza degli schiaffi in faccia che fanno male solo quando non li ricevi più. Bella questa, vero? Ve l’avevo detto che scrivevo poesie.

- Scusi, dovrei entrare…- esordì l’inserviente della libreria
- Oh certo, mi scusi- disse Alex, facendolo passare dentro la porta a vetro. Quando la porta si richiuse, la sua immagine era ancora riflessa lì: - beh, ora credo proprio che me ne debba andare. Ancora non capisco perché vi racconti certe cose, ma siete un uditorio davvero impeccabile, quindi…
- Alex!- irritata Ann
- Arrivo, arrivo- diede un ultimo sguardo allo specchio: - un idiota…-
Salirono entrambi al piano di sopra dove c’erano i tascabili: paghi poco, leggi bene.

Jonathan Schultz si diresse verso il tavolino col succo sopra un vassoio. Arrivò così ansioso che neanche guardava in alto, fissava i punti in cui le mattonelle del pavimento si univano. Camminava, camminava…
- oh, mer…
- Ehi, fa attenzione ragazzino!
- Sì scusi, sì scusi, le ho sporcato la giacca, io ecco…
Si mise col tovagliolo a pulire la macchia, sputò sopra il la stoffa bianca e poi la poggiò sulla giacca verde militare del signore. Un uomo distinto alto, capelli neri.
- Ma che diavolo fai!
Lo scansò con una manata.
- Oddio, mi scusi, è la mia prima…
- Vattene…
Lo sguardo torvo del tipo mise Jonathan in guardia, così si scusò ancora e se ne andò via, correndo a testa alta, visto che del contenuto del bicchiere era stata persa solo una piccola quantità.
Superò più tavoli, la duchessa non c’era più, ma il suo maledetto cane aveva lasciato un ricordino. - Maledetto cane di…ma?!
Il tavolo della signorina Glasgow era vuoto e c’era sopra un biglietto con dieci sterline:
“Grazie lo stesso, mi saluti il capocameriere”
Il ragazzo prese i soldi e se li mise in tasca, piegò il foglietto e lo inserì tra la giacca e la camicia. Sorrise.

Alex, come suo solito, si mise a spulciare ogni anfratto di quelli scaffali, si metteva in ginocchio piegava la schiena, faceva scatti improvvisi da una parte all’altra della libreria, girava la testa a destra e a manca, seguendo le file di costine dei libri e i loro titoli, cercando qualcosa che lo attraesse, poi, si fermava, prendeva in mano qualche volume, lo scrutava, lo rivoltava, analizzava, si studiava il titolo, la copertina, poi andava alla trama, sul retro, e, alla fine, leggeva la prima pagina, la penultima e una pagina a caso nel mezzo. Ripeteva la stessa operazione per ogni libro che poteva interessarlo.
“Janine Ceccaldi, invece, apparteneva alla sconsolante categoria dei precursori.
Da un lato, fortemente adattati al modo di vivere prevalente della loro epoca, e dall’altro ansiosi di superarlo “dall’alto” preconizzando nuovi comportamenti o rendendo popolar alcuni comportamenti ancora poco praticati, i precursori necessitano una descrizione un po’ più lunga, anche perché spesso il loro percorso è più tormentato e confuso.”

Alex sospirò. Era proprio come pensava: nei libri ci sono le verità degli uomini. Tenne il libro e proseguì nella ricerca. Era “Le particelle elementari” di Houellebecq.
- Alex ti muovi? Voglio tornare per la lezione del pomeriggio-
- Sì, ora andiamo Ann-
Si mise a muovere con le dita le file di libri, ben incastrati l’uno con l’altro, su di un tavolo metallico al centro della sala. Libri in offerta. Li scorse una volta, poi un’altra, avanti e indietro, almeno per quattro o cinque volte, poi ne estrasse tre, li valutò, ma ne aprì solo uno, riposando sul mucchio tutti gli altri.
Non ho un ritratto in testa da far combaciare sopra una faccia, no, l’assegnazione non dipende dagli occhi, anche se non so da cosa. Aspetto d’incontrarla per saperne la figura.
Aspettare. Questo è il mio verbo a venti anni, un infinito asciutto che non sbrodola di ansia, non sbava speranza. Aspetto a vuoto.”
Alex sorrise e aggiunse il libro a quello che già portava nella mano destra. Era “Tre cavalli” di Erri De Luca.
- Hai finito?-
- Sì, due minuti soltanto e poi ti riporto in facoltà-
E corse verso i classici tascabili contemporanei. Alex adorava gli scrittori americani del novecento: i migliori, sosteneva, i più geniali nelle loro intuizioni sul futuro della scrittura e del come trasmettere un nuovo messaggio al lettore. Tuttavia, non sapeva rinunciare nemmeno ai classici, agli intrighi, alla letteratura di protesta, al coraggio delle idee impresso nell’odore nella carta riciclata. Alex pensava che quegli scrittori di settanta, ottanta anni prima già avevano visto nel futuro, descrivendo la loro società, che quelle descrizioni, quei messaggi erano un’eredità applicabile al mondo in cui viveva.
“In neolingua la parola “scienza” manca addirittura. Il metodo empirico, sul quale si basavano tutte le conquiste scientifiche del passato, è in contraddizione coi principi fondamentali del Socing. Ora il progresso tecnologico si realizza solo se quanto esso produce può in qualche modo essere impiegato per ridurre la libertà umana. In tutte le arti che abbiano una qualche utilità pratica il mondo o si trova in una situazione di stallo oppure è in fase di regressione. I campi vengono coltivati facendo ricorso all’aratro tirato dai cavalli, mentre i libri sono scritti dalle macchine”
Lo aveva già letto quel libro, ma era stato un prestito da parte di un amico. Ne voleva una copia per sé, da mettere nella sua personale libreria, così, lo prese. Era “1984” di George Orwell.
- Alex?-
- Stiamo andando...
- Sembri indiavolato quando entri in ste librerie maledette-
- Un secondo, vedo se qui c’è ancora qualcosa
- Alex!-
Ma si era già immerso nel nulla cartaceo di mondi da immaginare, da scoprire in solitudine, dove regnava il silenzio, la parola, la sincerità d un’emozione che nessuno poteva portare via in nessun modo. Questa era un po’ la prova del nove: se c’era quel libro, la libreria sarebbe stata promossa, se non c’era, non capivano niente di letteratura. Era così che Alex la pensava, una delle poche certezze della sua vita. Si mise a seguire col dito l’ordine alfabetico degli autori e lo trovò subito, ben in evidenza. Promossi tutti. Aprì il libro ad una pagina a caso, per vedere che cosa voleva dirgli oggi.
“Cos’è quella sensazione che s prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? – è il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto ci si proietta in avanti verso una nuova folle avventura sotto il cielo.”
Aveva sempre qualcosa da aggiungere quel libro e lui l’aveva letto e consultato non sapeva nemmeno quante volte. Era “Sulla strada” di Jack Kerouac. Lo rimise al suo posto, con sacra premura.
- Alex!- fece Ann su di giri
- Sì, andiamo- sbuffò Alex
- Sei impossibile, cavolo…
- Scusa-
Ann prese la strada delle scale e iniziò a scenderle, Alex la seguiva con diligenza, cercando di allungare lo sguardo verso i titoli ammucchiati ai lati, sotto i corrimano. Fu così che Ann continuò a camminare e Alex si fermò davanti ad un bel tomo, di quelli da almeno quattrocento pagine. Nella metrica di Alex erano “quelli grossi”. Lo prese in mano, copertina cartonata:
“Matthew Angeli – E la gente non sa che piscio storto”
Lo voltò per leggere la trama: non capì bene, così aprì il libro e ne lesse l’introduzione.
“Quella che andrò a raccontarvi è la storia di una rivoluzione e delle vite che vi girarono intorno. Fu la rivoluzione, forse, più romantica e ribelle tra tutte quelle che avvennero in quegli anni. È, purtroppo, una rivoluzione da me inventata, senza seguito storico, ma assicuro al lettore che, se avessi memoria lucida del mio passato, di certo, potrei affermare che tutti questi personaggi da me idealizzati vissero realmente nella Londra degli anni’60, agendo nella stessa maniera in cui io li ritraggo, perché non potrebbe essere altrimenti. La finzione è solo una gentile anticamera della realtà e, pertanto, dirò, per giuoco, che questa è la storia quasi vera della prima generazione ribelle del secolo appena trascorso.
Questa è la storia dei giovani eroi della Nuova Inghilterra.
Il perché del titolo? Perché alla gente interessa molto di più se piscio storto che di imparare un po’ di storia o leggersi un romanzo.
Buona lettura.

Matthew Angeli
Roma, li 30/09/di un anno come tanti altri”

Un’introduzione piuttosto breve, ma efficace, convenne, ridendo goffamente. Richiuse il libro e decise che l’avrebbe acquistato. A volte ci sono libri che scopri casualmente e ti basta un frase, un prima pagina letta velocemente per capire che ti cambieranno la vita, in senso metaforico, ovviamente. Quel libro, Alex valutò che fosse parte di quella categoria. Non si sbagliava del tutto perché…
- McMillan!- Ann era tornata indietro e, giudicando la sua espressione facciale, era imbufalita.
- Ho fatto, mi ero fermato a vedere questo libro – fece Alex mostrando il libro – ma ho fatto-
- Non mi interessa Alex!-
Alex la guardò bene, aveva qualcosa vicino alle labbra, con un gesto leggero del pollice le si avvicinò e gli scansò quel qualcosa dall’angolo della bocca. Le sorrise. Sono teneramente scimuniti gli innamorati e non connettono proprio coi circuiti della realtà.
- McMillan, ma sei cretino?-
- Eh?-
- Che ti metti a fare con quella mano?-
- Avevi qualcosa…
- Tu sei fuori dal mondo Alex, tu e i tuoi libri…
- Volevo solo…-
- Non vai mai a lezione, non sei mai in orario, dici e fai cose senza un senso apparente, e poi te ne stai lì, coi tuoi libri, a questionare su cose inutili…
- Cose inutili?-
- Sì, inutili, dove credi di arrivarci con quei libri? Da nessuna parte, te lo dico io che a te ci tengo-
- Ci tieni?-
- Certo, siamo amici McMillan-
- Amici…
- Sì, e stammi a sentire quindi, lascia perdere queste stupidaggini dei libri, delle paranoie filosofiche e comincia a crescere, entra nella vita reale, dove si studia e si fatica-
- Io studio-
- Non abbastanza-
- Non posso rinunciare ai libri-
- Dovresti, è da immaturi il tuo comportamento-
- Io ti amo-
- Certo, come quando ci siamo lasciati?-
- Dico davvero, io ti amo-
- …
- …
- Beh, io no, sei patetico Alex-
Ed è così che può succedere che nel peggior momento possibile, gli innamorati si svegliano dal torpore floreale del loro amore e si riprendono le redini del loro senno:
- Ma crepa-
- Che hai detto McMillan? Ripetilo-
- Ho detto “crepa”, tu, i professori e tutta la società ben pensante, siete tutti morti ancor prima d’aver vissuto, ve ne state là coi vostri bravi, buoni principi, il lavoro, lo studio, la fatica, che poi diventano il partito politico, la religione, il marito, preparare la cena, stare insieme a Natale…crepate-
- Sei pazzo-
- No, tu sei pazza, e lo sai perché è divertente?-
- …
- È divertente perché neanche te ne accorgi, né tu, né gli altri…morite ogni giorno, ogni ora un pezzetto di più che se ne va a favore del vostro dover esser un domani, nel futuro, magari qualche vecchio monolite, capo degli assorbiti mentali quali tutti voi siete-
- Noi chi? Ti droghi McMillan?-
- …e la parte più bella è che sono pure innamorato di te-
- …
- Toh, leggi un po’, magari ti rendi conto di qualcosa che sia meno finto dalla tua bella realtà da fantocci-
Alex gli buttò sui piedi i libri. Una cinquantina di “E la gente non sa che piscio storto” sui piedi di quella poveretta. Uscì fuori e si accese una sigaretta, già aveva il rimorso per le parole che aveva pronunciato poco prima. Tirò fuori dalla busta di plastica il suo ultimo acquisto…
- Già mi stai cambiando la vita, vecchio mio?- chiese
Il libro non rispose, ma Ann non partecipò alla lezione del pomeriggio quel giorno.

La radio dell’università era sintonizzata su RCC. Luca Bordon si mise in ascolto.
Venga il Tuo Regno
Il secondo capitolo riguarda la civiltà dominante, il castello, i nobili, il popolo, la bandiera issata sulla torre più alta, l'opulenza imperiale.Il secondo capitolo riguarda il Regno, i darwiniani dominatori di cui siamo semplici figli ed eredi.Se avessimo dovuto scattare un'istantanea del Regno otto anni fa, l'avremmo visto dorato, lucente, vincente, un sorriso di smacco e fascino che attraversava il mondo all'apice del suo splendore. Era l'Impero, era Alessandro magno che entrava a Babilonia.Nel giro di un anno tutto era cambiato, ma otto anni dopo, questa patina luccicante sembra essere svanita, coriandoli a terra, ruggine, vestiti stracciati, come quando una nuvola copre il sole d'estate e i colori si rimestano su loro stessi, opacizzandosi, divenendo sempre più densi di ombra. L'Impero è tornato Regno. E' una Minas Tirith della nostra realtà, che si sta preparando. E' Alessandro Magno che si ritira dall'India.Pertanto, è da questa impressione che voglio partire per descrivere lo stato vigente, descriverlo, delinearlo, disegnarlo, non commentare, se non involontariamente. Il concetto è breve e compatto come la sua enunciazione già, di per sé, eloquentemente ci comunica: limite.Limite è circoscrizione dell'espansione, è punto alla fine di una frase, è confine geografico, divisione metafisica, capienza massima del sapere come memoria massima di un hard disk.Pensando con una certa leggerezza, il concetto di limite è qualcosa che profondamente ci appartiene e che sempre poniamo come misura fondamentale del nostro prendere cognizione, del nostro osservare, analizzare, verificare, comprovare.Poniamo un limite sin dalla storia più antiche, nel momento stesso in cui poniamo il mito nella natura, e, quindi, spieghiamo sbarrandone le possibilità, cioè che non possiamo comprendere con i nostri strumenti umani. Nonostante l'evoluzione (attenti a questa parola che troverà oltre ampio spazio) che ci ha assecondati in questi millenni, abbiamo avanzato di poco il nostro vallo verso l'oltre. A dire, che oggi la popolazione media è più alta, allora alziamo i tetti delle case, poco importa guardare le stelle.Ma ho detto proprio "guardare le stelle"! Già, e fortuitamente è proprio qui che volevo arrivare, alle stelle. Perché associamo determinati immagini a determinati sentimenti? quale è la regola che permette questo?Nell'antichità la fenomenica, l'entità naturale era associata al divino, al mito. Nelle grandi religioni monoteistiche tutto è dio, perché dio è tutto, in particolare poi, nella religione cristiana Dio è Amore. Rimanete con questa idea dell'associazione all'entità Dio, del fenomeno Amore. Torneremo dopo un brevissimo intermezzo culturale.Nell'ambito della storia culturale dell'uomo (occidentale aggiungerei) si sovrappongono vari filoni, correnti artistiche che, cominciando dall'Umanesimo iniziano a dissociare l'uomo dalla religione, dalla sfera divina, focalizzandosi su di esso. Per quel che riguarda il Regno, l'Umanesimo è il solco che Romolo fece per disegnare la città di Roma.Molto tempo dopo comparirono Illuminismo e Romanticismo, la ragione e i sentimenti: sostanzialmente, la struttura che oggi tutti riconosciamo a quel particolare animale che definiamo uomo. Come noterete, se non fosse nato uno studio che avesse focalizzato sulla persona, come essere degno di autonomo spazio e non solo di essere nota a margine della lunga definizione riportata sotto la parola Dio, Allah, Vishnu e similari, non avremmo poi ingenerato quel meccanismo, tipico del metodo scientifico di ramificare e analizzare. Così dal filone unitario, l'uomo. si scinde la ragione prima e, poi, arrivano i sentimenti, inconsciamente sciorinati con lo stesso cipiglio scientifico delle menti illuminate. Da allora, con una certa cadenza, cambiando alcune piccoli variabili, ci siamo barcamenati dal Positivismo all'Esistenzialismo, alternando la predominanza di queste due caratteristiche umane.E' molto semplice e semplicistico favoleggiare in questa maniera secoli di sapere, ma voglio dare un quadro e, l'ho premesso, buttar giù un saggio non scientifico e ancor meno convenzionale.Insomma, approdiamo a questa considerazione: il Regno si basa sul concetto che l'uomo esiste e va indagato, perché l'uomo è limitato. Il caposaldo fermo, forte, sicuro, le mura aureliane di questa città sono fatte di mattoni su cui è scritto: c'è l'uomo, la natura e Dio; e di stendardi su cui in caratteri latini, medievali, gotici, vittoriani e quant'altro si riporta: ogni cosa è unita e separata.E' questa la rivelazione stupenda che i nostri avi ci hanno messo in testa e volendo tornare allo scrittore (Baricco) che scrive dei barbari, cercando di capirli, lui mi trova d'accordo nel dire che oggi ancora siamo inguaribili Romantici: perché in ogni cosa scaviamo, cercandone il senso ulteriore, il collegamento leopardiano, la tensione. In questo stirarci verso l'ignoto, l'infinito, il kantiano noumeno, ci perdiamo, ci uniamo e ci separiamo creando la scienza, l'arte, la nostra civiltà, espandendo la nostra egida sui Galli, o falcidiando con i nostri opliti, ardenti romantic, i feroci Persiani.All'epoca della nascita del Regno, Dio era forte, presente, ma non pervadente: poteva struggere l'animo di chi all'infinito riversava il suo essere, ma lo streben era un'altra cosa.Dio è Amore, come dicevamo, ma l'Amore appartiene ad una sfera del sentire che l'uomo scopre di possedere, che è sua, che lo descrive, lo limita e lo universalizza. Il nuovo giovane uomo (borghese) è il Regno, ed il Regno è lui, e se non ci sono libri sull'argomento, vorrà dire che si prenderà una penna e se li scriverà da solo.L'uomo odierno si è evoluto e rimane in alcune persone ancora romantico, trivellatore dei buchi nel cielo tappati dalle stelle. Perché le stelle, vi chiederete ora, visto che non v'ho risposto ancora.Perché è così che è nato il sentimento: la natura ha suscitato qualcosa, lo spettacolo che vi è oltre ha toccato una profondità che si è fatta sentire da un iniziale sentore, e Dio e lì dietro, dall'altra parte del palcoscenico, coperto da un sipario. Allora, tutto lega l'uomo e lo immerge come unità e come flusso.L'uomo odierno si è evoluto, ma oggi il Regno sta per crollare, e quell'implosione mi pare dovuta ancora una volta al nostro principio fondante, il limite-tutto, che, come vedremo coi barbari, qualche falla ce l'ha.Ma, intanto, dovremo parlar anche di come il funzionario del Regno vive oggi questo attacco al suo mondo, alla sua libertà relativa, figlia di un Dio benevolo e non pretenziosamente severo e figlio della superstizione. Io me lo immagino, in giacca e cravatta, portatile e trolley che, finalmente, in pubblico congiunge le mani, stringe a sè la figlia spaurita e la compagna di una vita, si piega sulle ginocchia, sul marmoreo pavimento del suo palazzo e sussurra:"Venga il tuo Regno..."Grida di barbari dalla radura.Nella prossima puntata Gengis Khan che in questa non ci poteva proprio entrare.Un grazie speciale a Baricco senza la cui intuizione non avrei potuto esaurire la mia.
- E io che pensavo di essere solo un bidello – Bordon spense la radio, prese la scopa e si diresse fuori dal suo gabbiotto.

- Scusi dov’è il bagno?
- …
- Bene, non dico che sia incontinente, ma alla terzo cameriere che non lo sa potrei inca…
Lei si girò, molto lentamente, come nei film e sorrise.
- …zza…volarmi, incavolarmi
Lei si mise a ridere sommessamente. Aveva una certa età, ma era davvero bella.
- Mi scusi…signora?
Fece segno di no.
- Signorina Jane Benitez, splendido nome, spagnola da parte di padre?
Lei molto colpita, si toccò il collo e annuì.
- Io sono Matthew Angeli, sono qui a…a…cercare un bagno
Lei continuava a sorridergli dolcemente.
- Vuole unirsi al nostro tavolo?
Fece segno di no, indicò che doveva lavorare.
- Certo, ma, le dico la verità, io sono uno scrittore, nessuno si offenderebbe se la invitassi al tavolo
- Matt, dove sei?
- Eccomi Mary
- Ma perché sei andato così, senza dir altro, hai lasciato il discorso metà…
- Meglio per loro che mi sia alzato, dicono cazzate, oh pardon signorina Benitez, volevo dire dicono fandonie, Mary conosci la signorina Benitez, lei fornisce bevande ed è…
- Fai quello che devi fare e torna da questa gente, fai meno il bambino cavolo…
Mary si allontanò a passa veloce.
- La deve perdonare, Mary è la mia assistente, un po’ nevrotica, sa la vita così dinamica di noi artisti
Matt strizzò l’occhio e Jane si mise a ridere. Lei riconobbe qualcosa in quello sguardo di così familiare ma non comprendeva cosa.
- Ora devo proprio cercare una toilette, ma lei è una donna bellissima, si faccia trovare quando avremo finito questa pagliacciata
Lui le baciò la mano, lei arrossì, lui accennò un sorriso malizioso, simulò un inchino, allontanandosi, e se ne andò alla ricerca del…
- Ehi, Schultz, ti chiami così vero?
- Sì, signore
- Dove diavolo li nascondete i cessi?

I'm Lovin' it!
"Libera nos a malo"prendendo coraggio nei pugni chiusi poggiati sul pavimento, il funzionario del Regno conclude la sua preghiera tardiva, riesce ad alzarsi, lascia mogli e figlio abbracciati e impauriti e si dirige verso la finestra, il grande arco a tutto sesto che, fa poco, si è fatto costruire per accedere al balcone.Ha ancora gli occhi chiusi.Così esce fuori, il calore del sole è tenace sul volto e alla fine decide di farcela, di sollevare le palpebre. Niente.Non c'è fumo in lontananza, non ci sono eserciti addossati alle porte del palazzo, ma, poi, di colpo, ancora quelle grida nel vento, grida violente che scuotono la terra alle radici. Il funzionario corre alla ringhiera del balcone, si affaccia e guarda di sotto, lo sguardo corre lungo le mura, fino al terreno: riconosce i nipoti di alcuni suoi amici, parenti, ragazzi sulla ventina, anche più piccoli.Rimane inerme, basito.I barbari sono entrati.Eravamo rimasti qui la volta scorsa, ma ormai sappiamo che i barbari sono entrati. Chi sono i barbari? perché non fanno macerie, saccheggi, fiamme, razzie? Dove sono i loro eserciti di pelli d'orso vestiti? perché se ne sentono le spaventose grida, ma non le luccicanti asce? Dove sono i barbari e, soprattutto chi sono, perché li chiamiamo così?Cominciamo dalle ultime domande, procedendo con alcune brevi definizioni.Barbaro (barbaros) è la parola onomatopeica che gli antichi Greci utilizzavano per denominare gli stranieri ( i "balbuzienti"), coloro che non sapevano parlare il greco, quindi non ne condividevano la cultura. Successivamente, con l'ellenismo, il significato venne a modificarsi: ogni uomo partecipe della cultura e della civiltà ellena era elleno, gli altri solo barbari incivili. Con il Cristianesimo il termine assurge a dare una definizione in ambito religioso, poi quando l'Impero Romano viene cristianizzato torna l'accento culturale che rispecchia le differenza con i non "romani", non cristiani e, pertanto, culturalmente di civiltà inferiore. Sono questi quelli che nella nostro comune ricordo scolastico-popolare sono i Barbari: Unni, Goti, Ostrogoti. Pertanto, il termine nasce con una accezione di separazione, per poi prendere la sfumatura negativa e, ancor di più, dispregiativa che arriva oggi nel nostro immaginario.Sostanzialmente i Barbari ebbero a vincere il confronto con un Impero Romano già decadente (tenete bene a mente i tratti salienti di questa storia) e iniziarono così i noti Regni Romano-Barbarici.Nella cultura cinese barbaro è sinonimo di tutte quelle popolazioni che erano oltre la cultura cinese (i Manchu, i Tartari, i Mongoli ecc...) e da cui la Cina doveva ripararsi, date le scorribande improvvise e violente che muovevano queste orde, spinte dal bisogno, dalla fame. Il primo imperatore cinese della dinastia Yuan fu Kublai Khan, nipote di Gengis, che dichiarò la zona di Pechino come capitale. L'ultimo imperatore celeste era mancese.Prendiamo la prima definizione di barbaro, quella degli antichi Greci: diverso dalla cultura greca perchè non ha nella sua sfera culturale quel linguaggio, il linguaggio dominante.Franz Grillparzer (lo potete vedere bene sulla prima pagina di Wikipedia dedicata a Beethoven) disse del compositore tedesco: "Chi verrà dopo di lui non continuerà, dovrà ricominciare, perché questo precursore ha condotto l'opera sua fino agli estremi confini dell'arte".Ancora Haydn, suo maestro e grandissimo della musica classica: "sacrificherete le norme alle vostre immaginazioni". Per non annoiare troppo userò con parsimonia le prossime due citazioni.Ludwig Van Beethoven fu il battistrada tra il tempo dei Lumi e lo spazio dei Romantici, la sua composizione artistica racchiude entrambe le influenze e le rielabora, costruendo un modello iniziale, che molti del suo tempo apprezzarono, ma ammisero di non comprendere, altri, invece, semplicemente lo ritennero stravagante, un'esagerazione del modo organico di sviluppare le idee. Gli alti e bassi, il travolgente irrompere della musica come se fossero i sentimenti dell'animo, non erano cose da sovrani illuminati, né tantomeno da razionali uomini di scienza, qualsiasi forma di scienza essa fosse. Era una divertente, ma anche pericolosa barbarie. Io oggi scrivo predecessore, loro ieri scrivevano eccentrico, egocentrico, interessato al bello, al superficiale. Beethoven invece scriveva:"Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza.". Che se ne facevano i lumi della gioia attraverso la sofferenza? Era il messaggio borghese, romantico che stava per comporsi nella sua maturità completa. Era Beethoven che scriveva ai principi che loro erano così per nascita, lui era così come era grazie a lui stesso ed era proprio per questo che non ci sarebbero stati altri Beethoven. Col senno del poi, sembra che il mondo, come dicevo nello scorso capitolo, ricerchi ancora nella profondità delle cose la loro ragion d'esser, la musica suscita emozione perché riposta emozione e, in uno dei film (e libri) più importanti della rivoluzione giovanile "Arancia Meccanica", Ludwig Van è sempre il musicista preferito del folle e distorto Alex (ma ci sarà tempo per parlare anche dei rivoluzionari). Beethoven ha attraversato il tempo perché è stato un barbaro vincente, un pò come Kublai Khan. E come il Khan, nipote del tremendo barbaro Gengis, divenne imperatore della civile Cina, così Beethoven, barbaro musicale celeberrimo, ha inconsapevolmente donato il suo Inno alla Gioia alla massima espressione della civiltà europea: l'Unione. E visto che questi noti Barbari sembrano succedersi gli uni con gli altri all'interno della civiltà costituita (riprenderemo il concetto nel quarto capitolo), perché il pagliaccio dal capello riccioluto e rosso di MacDonald's oggi dovrebbe essere una barbarie? E se domani la soundtrack della UE fosse sostituita dal Jingle del noto fast food americano?Ma cosa è cambiato in questa evoluzione storica: i mezzi, le armi, la cultura, ma non il personaggio principale, ovvero, noi, gli uomini. Gengis Khan impose la sua potenza militare, bellica, la sua predominante violenza, sviscerata dal nomadismo, dalla povertà, dalla necessità, sui popoli civili, ma ormai seduti sulle loro elucubrazioni filosofiche, in discesa senza accorgersene. Suo nipote divenne la civiltà.Beethoven, ma anche altri suoi contemporanei, non imposero le armi, ma la loro arte che scavava negli animi, tirando fuori i sentimenti, producendo quel risultato di uguaglianza nei sentimenti che ci eguaglia e rende liberi. Questi uomini avevano fame di irrazionalità, necessità di non essere principi, bisogno di valere comunque. Davanti a loro una società ancora elitaria, statica, decadente senza la capacità di comprenderlo. La sua musica, le loro opere sono il patrimonio della nostra civiltà.Ronald MacDonald si scatta le foto coi bambini, è un punto di ritrovo per i ragazzi che lo guardano e ridono, ha creato un luogo per chi deve lavorare e ha brevi pause pranzo, per le famiglie, la domenica, propone un pasto non ben identificato, ma dal buon sapore, quei colori, il jingle danno allegria, le persone chiacchierano, si scambiano informazioni velocemente, si divertono, i bimbi giocano sugli scivoli o con la sorpresa dell'Happy Meal. Le persone che frequentano questi posti fanno più cose insieme, interagiscono. MacDonald's è un'esperienza completa e accessibile a tutti, senza dovere avere doti artistiche, capaci di esprimere un sentimento. Il sentimento non c'è, c'è la sensazione, lo scambio, la capacità di comunicare rapidamente con un linguaggio facile. Davanti a MacDonald's, ai centri commerciali, ai Warner Village, ai Forum online, ma anche davanti alla casa dell'occidentale medio con cena frugale, poche parole, televisione, musica e computer accesi, ci sono i funzionari del Regno che ascoltano il loro Beethoven, arroccati sulle loro posizioni, senza capire che stanno cadendo, finché non vedono dal loro balcone i nipoti che comprano il Big Mac Menu take away e guardano l'ultima puntata del Grande Fratello.I barbari sono entrati e non ce ne siamo accorti, talmente presi ad attendere il loro arrivo.I barbari siamo noi.

"Benvenuto signore, cosa prende"
"Due Big Mac Menu a portar via e un happy meal..."
"Due nonno, due!"
"Due Happy Meal"
"Un minuto ed è tutto pronto, carta o contante?"
"Carta"
"Kublai, smettila di dar fastidio a tua sorella e prendi le cannucce, sennò non facciamo in tempo a vedere la prima puntata del GF"
"Okay nonno Gengis"
"Li scusi sono bambini"
"Non si preoccupi signore"
"Mi può dare altre bustine di ketchup?""
Sì, certo"
I barbari...

Indossò una camicia nera, sul petto, dalla parte sinistra, c’era un tatuaggio, ma non di quelli disegnati, pareva fosse marchiato col fuoco, uno di quelli fatti col ferro incandescente, che la pelle si raggrinza e raggruma ed emerge in superficie, frastagliata a comporre disegni e promesse.
RIOT c’era scritto.
Si abbottonò con disciplinata lentezza ogni bottone, poi considerò se le due estremità della camicia fossero pari, alzò il colletto ed vi pose una cravatta, sempre nera, lucida, la annodò, la parte più larga sopra la più stretta, poi la fece passare sotto, la riprese le fece fare un altro giro, e da sotto la riportò sopra l’altra parte, passando sopra il nodo che si stava creando. Infilò l’estremità dentro al nodo, tirò, e questo si strinse. Tirò la parte stretta e il nodo salì, perfetto fino al collo, diede un tocco leggero con due dita. Questioni di stile. Chiuse la patta dei pantaloni neri e allacciò la cintura. Inutile dire che anche quella fosse nera. Poi si guardò bene la faccia allo specchio, si avvicinò, fece un’espressione di disappunto, mise la mano in tasca e, col fazzoletto che estrasse, si pulì la guancia sinistra da una piccola macchia di sangue.

- Manolo?
- Sì, Luca?
- Io ho finito il turno, lascio le chiavi delle aule qui nel gabbiotto.
- okay!
- A domani…
- Speriamo di no, oggi ho giocato al lotto e sento che sarà la serata giusta.
- Certo…a domani Manolo
- A domani, a domani!
- Senti che vincerai tutte le volte…
Sussurrò Luca Bordon, mettendosi il cappotto e spegnendo le luce del gabbiotto:
-…ma non c’è nulla da vincere per noi.
Luci spente.

- Natalia, dove sono i piatti?
- Signore, lei no si preoccupi, penso io che tutto va meglio
- Sì, va bene, ma non sono abituato a stare in casa e tanto più, stare in casa a far nulla, fammi partecipare un po’, non lo diremo alla first lady eh?
- Signore Presidente, lascia stare, che poi sua moglie subito se accorge che tu hai collaborato…
- Perché?
- Perché un conto è governare a sua unione, un conto è apparecchiare una di tavola
Il Presidente scoppiò in una fragorosa risata.
- Va bene, e cosa possa fare per non sentirmi inutile Natalia?
- Può chiamare bambini e dire che è fra poco tutti si va mangiare
- Agli ordine presidentessa
Natalia sorrise:
- Ah, come si fa con lei signore Presidente
- Eh, Natalia, me lo dicono t…
Squillò il cellulare del Presidente.
- …perdonami Natalia, mi chiamano, impegni di lavoro…
- Sì, certo, a me mi paghi tanto per fare tavola
- Certo, certo, ma i ragazzi li chiamo io, non ti preoccupare
- Si signore, e chi se preoccupa
Il Presidente uscì dalla cucina e si mise in corridoio, controllò che i suoi due bambini fossero occupati. Allungò il capo nel soggiorno. Stavano vedendo la televisione, così spense il pulsante con la cornetta verde e rispose:
- Pronto?
- …
- Ancora nessun segnale?
- …
- Ormai sono passati quattro giorni, è venerdì, maledizione!
- …
- Va bene, non c’è niente di cui preoccuparsi, procediamo come stabilito

Il Presidente riagganciò il telefono e rimase a pensare, appoggiato al mobile di legno che si trovava a metà corridoio. Accese la radio, a basso volume, per non disturbare i figli.

- Pronto? Vanessa Hodgson, National Review, chi mi desidera?
- Spero nessuno…
Matthew Angeli era dietro la signorina Hodgson.
- E’ una telefonata privata! – disse lei, stizzita
- Considerando il volume della sua voce stridula, l’hanno sentita anche all’ultimo piano dell’albergo
- Mi scusi
- Le pare
Vanessa, si scostò dal professore e si diresse in un angolo più riservato del salone.
- Chi è?
- …
- Oddio, è una notizia bomba
- …
- Domani in prima pagina?
- …
- E qualcuno ne è al corrente?
- ….
- Ho capito
- …
- No, ancora non gli ho accennato nulla a riguardo, è un uomo impossibile
- …
- Sì, lo so che verrò ben ricompensata, altrimenti starei a casa a leggere i miei romanzi rosa ti pare?
- …
Vanessa rimise il telefono in tasca, prese del succo di mirtillo e si diresse verso il tavolo, dove tutti erano ormai in piedi, dato che la cerimonia era finita.

Robert Micheal De Valera mise una lunga giacca verde, da militare, sul completo nero, si diresse verso il tavolo, prese il piatto con le uova: era sporco di sangue.
Non poteva più finire la colazione, fece una smorfia di disappunto, portando il piatto al lavabo e depositandolo dentro, lasciò scorrere un po’ d’acqua, strappò dei pezzi di carta assorbente da un rotolo sul lavello, poi tornò indietro. Tamponò il sangue che scendeva a rivoli, cercando di abbattersi sulla moquette, con brevi colpi, nel tentativo di concentrarlo al centro del tavolo.
Squillò un telefono.
Non era il suo. Il suono veniva dalla giacca di Eamon McCarthy. Robert lo estrasse e guardò lo schermo. Numero anonimo. Lasciò terminare la chiamata, poi mise l’apparecchio nel borsone e chiuse tutto.
Uscendo dall’edificio, lasciò un biglietto alla Miss Darling.
Tornerò fra quattro giorni, probabilmente passerà qualcuno per dare l’acqua alle piante, ha le mie chiavi, buona giornata, De Valera.

- Ragazzi, il pranzo è quasi pronto, andate a lavarvi le mani
Il Presidente sorrise ai suoi due figlioli che stavano guardando la televisione.

- Sa che lei è proprio uno screanzato?
- Screanzato non lo diceva nemmeno mia nonna, e le assicuro che era molto più rompiscatole di lei…
- Ma come si permette…
- Non so se se ne è resa conto, ma ho cercato di evitarla per tutto il brunch…
- Lei signor Angeli sarà un grandissimo scrittore, ma ha veramente un carattere odioso!
- Signorina, crede che questo mi farà rattristare? Vuole vedere i miei occhi lucidi
- No
- E allora lasci perdere
- Quale è il suo problema?
- Oddio, ancora, tutti Freud sulla mia strada…
- Dico sul serio, cosa le manca?
- Mi manca che la gente mi lasci in pace!
- …
- …
- Lei conosce Terry Gabriel?
- No
- Conosce i Giovani Eroi della Nuova Inghilterra?
- Letto sul giornale, ma cosa c’entra? Lei è pazza?
- Ne è sicuro?
- Di cosa?
- E se le provassi che lei ne faceva parte?
- Oddio è impazzita
- Sì, credo che sia ora di andare – intervenne Stan Laurel che era lì vicino
- Prenda questo, ci pensi e poi mi chiami, a stasera professore…
- Ma che diavolo?
- Dai lo prendo io
- Cos’è?
- Un biglietto da visita Matt, lo butto?
- No dammelo

Robert Micheal De Valera si sedette in uno dei tanti Garfunkel’s di Londra.
- Cosa le porto?
- Colazione inglese, ma senza funghi, abbondi con le fried eggs, per favore
- Sì, certo, altro?
- Un succo d’arancia e un giornale
- Subito
- Grazie
De Valera prese il borsone, lo aprì e ne tirò fuori il cellulare di McCarthy, attese.
- Ecco la sua ordinazione…
- Bene
- …e il giornale
- Grazie
Era un lunedì stranamente assolato a Londra. La prima pagina del giornale recitava così:
“Conferenza di Lisbona, ultimi preparativi”
Nel sottotitolo si spiegava: “Atteso in giornata l’arrivo del ministro Nixon”
- E bene così…
Disse Robert, mettendo in bocca un fetta di pancetta croccante. Trillò il cellulare, Robert lo osservò muoversi sul tavolo, poi lo prese:
- …
- Eamon? Sei tu?
- Venitevelo a prendere
- ..chi è? Dove sei?
E riattaccò, prendendo una fetta di pane tostato.

- Pronto?
- …
- Sì, sono io
- …
- E lui?
- …
- Non credo che tornerà più in quel luogo
- …
- Mandate dei soldi alla famiglia e ditegli di mantenere il silenzio
John Smith chiuse la chiamata e si girò verso gli altri convitati.
- Scusate, lavoro…
- Tutto bene John caro? ti vedo pallido...

- Finchè avremo il Presidente al governo, nulla potrà andare male, first lady…



[ Credits: Special thanks to Fabio for the tango scene; the paintings by Blakely]

Thursday, November 13, 2008

Gli Anni - Dalla Swinging London a London Calling

Buonasera radioascoltatori, io sono Stan Laurel e voi siete su Radio Cultura Continua, per il terzo venerdì di fila con le nostre suggestioni.

Stasera parleremo di un'invasione vera: circa vent'anni di brand new air.

Abbiamo già detto della rivoluzione degli anni'60 e ci riserveremo di tornare negli USA per raccontare dei papà della rivoluzione, i beat, ma oggi ci spostiamo decisamente.

Europa, fine anni cinquanta, UK, Londra è una città che sta cambiando velocemente, nei costumi, nella musica, nella società. Nel dopoguerra la situazione economica inglese è disastrata, la disoccupazione e la povertà alte. E' il periodo dell'austerity. Non è raro sentir dire che l'unica ambizione di un ragazzo sia riposta nell'attesa di diventare un adulto.
Col migliorare di queste condizioni, si aprono nuovi posti di lavoro, possibilità economiche, indipendenza per una fetta di società non considerata dal mercato, perchè inesistente, latitante. Sono i Teddy Boys che col loro stile particolare, brillantina e ciuffo, giacche di velluto colorate e altre stravaganze, aprono la strada. Questi ragazzi non hanno molti soldi, ma li spendono tutti in vestiti e dischi americani, stufi della solita musica inglese.

Nasce una nuova classe sociale, che inizia a rendersi conto di avere un'identità e aspirazioni maggiori di quelle di diventare adulti.



Ci sono dei teenager nel 1958, tra Stepney e Sheperd's Bush, che decidono di rompere con le generazioni precedenti. Ogni generazione, ogni individuo ha un suo stile che lo rappresenta socialmente: gusti sofisticati, jazz moderno, da Coltrane a Thelonius Monk, si vestono in abiti spesso su misura, stretti, pantaloni affusolati, cravatte fine, ricerca del particolare, guidano Lambretta o Vespa, fanno spesso uso di anfetamine e odiano i rockers: sono i Modernisti.


Sebbene all'inizio l'abito importasse di più, tanto che gli Scooter Boy indossavano parka per proteggerli durante i viaggi in motocicletta, poi il movimento si ramificò prendendo sempre più piede l'importanza delle droghe, della musica e degli scooter.

Un libro? Absolute Beginners 1959 di Colin McInnes

Una canzone? This is the modern world dei The Jam, anche se verranno molto dopo questi anni

Un simbolo? Lo stemma della Royal Air Force

Influenzati dalla cultura beat e dallo spirito dei teddy boys, i mod si rivoltano contro una società britannica, considerata timida, rigida, mal vestita e poco ispirata. Per tutta risposta riceveranno il marchio di "ultimo affronto alla classe proletaria britannica", "espressione del consumismo americano che distruggerà la fibra britannica". Insomma dei perditempo, arroganti, affascinati dallo stile italiano e francese.Un affronto tutto da capire per il popolo di Sua Maestà!

In realtà i mod sono alla base di una rivoluzione culturale, vengono dalla classe operaia, ma cercano un qualcosa in più, un tocco di stile che li faccia distinguere, cercano autenticità dei comportamenti: moving and learning, muovendosi e imparando da tutto ciò che è nuovo, alternativo, sconosciuto, da tutto ciò che può essere utile anche se non inglese. I Mod si sentono cittadini europei. Tra gli original mods si legge la poesia beat, gli scrittori esistenzialisti, c'è uno stile pulito, asciutto.
"Less is more" è il motto.
Ascoltano lo ska jamaicano, l'R&B, il jazz e il British Beat. E' il momento dei The Who, dei The Small Faces, dei The Kinks, dei The Rolling Stones che iniziano un cammino inarrestabile verso la storia della musica.

Siamo entrati negli anni'60 e Londra sta mutando grazie all'evoluzione dei mod: scema il movimento dei teddy boys, la città è in subbuglio, rocker, mod, teddies, beat, hippy, Carnaby Street è la Carnaby Street del mito. Si veste Fred Perry e si veste tutto ciò che i giovani trovano interessante e identificativo.Vince la cultura dei ragazzi, vince la cultura del cambiamento, finisce l'austerità del dopoguerra.

Nel 1962 un gruppo di ragazzi esce con un singolo che cambierà il concetto di musica leggera: si chiamano i The Beatles.

Una canzone? Love me do



Un simbolo? La modella Twiggy



Un nome? Swinging London


Nel 1964 Mary Quant crea un indumento molto discusso, oggi scontato, ma allora fu rivoluzione e scandalo: sto parlando della minigonna che subito prese piede nel mondo e sulle gambe delle ragazze.
Nel 1965 la rivista Vogue dichiarò Londra la città più swinging, inteso come glamour e hip, del mondo. La nuova musica viene da radio pirata come Swinging Radio England, Wonderful radio London, Radio Caroline.
Sta nascendo il rock psichedelico made in UK, ma è il momento del pop, i ragazzi di Liverpool spopolano nel mondo, Londra è all'apice di questa età dell'oro.

E' la British Invasion.

Così chiamiamo il periodo dal 1964 al 1967. Nel '66 l'Inghilterra vince i mondiali di calcio, la mini-cooper è un oggetto di culto, Sean Connery è James Bond. L'invasione è culturale, seppur grande spinta a quest'ondata inglese viene data dalla musica. Il centro della musica si è improvvisamente spostato in UK e gli Stati Uniti sono di nuovo terra di conquista.

Un simbolo? I Beatles a The Ed Sullivan Show nel '64
Un film? Across the Universe del 2008

E' l'età dell'ottimismo e dalla pop culture. E visto che, oltre ad andare in onda via etere, siamo in onda anche sulla rete, ecco a voi un momento di storia, nel '64 i The Beatles invadono le televisioni di tutti gli Stati Uniti con I Want to Hold Your Hand nello show più seguito di tutti i tempi: è la prima apparizione a stelle e strisce. Buon ascolto per chi è alla radio e buona visione per chi ci ascolta sul blog...








Gli anni passano velocemente, la Beatlemania porta alla conoscenza della cultura indiana, il rock psicadelico prende posizione, nel1967 escono singoli come Lucy in the Sky with Diamonds, la cui sigla è chiaramente LSD, e Strawberry Fields. Lo stesso anno di Sgt. Peppers and Lonely Hearts Club Band, un altro gruppo uscirà col suo primo album The Piper at The Gates of Dawn.

Sono i Pink Floyd.

Andiamo ancora più veloci, perchè nel giro di tre anni il sogno si distrugge. I Fab Four si sciolgono e con loro l'ottimismo swinging.

E' un periodo di riflessioni, la guerra del Vietnam ha messo tutti davanti ad una dura realtà, cruenta e in mondo visione. Gli Stati Uniti si trovano costretti a trattare la fine della guerra: non saranno mai più quell'esempio di libertà ed uguaglianza. Il sogno americano si sgretola, il mondo cambia ancora, si chiude su stesso, piange i suoi figli. La contestazione giovanile si fa dura ed aspra: non vogliono che il mondo dei loro padri rovini il loro futuro, vogliono che il mondo cambi ed ora, un mondo sì utopico, ma migliore. La primavera di Praga è una ferita che non se ne andrà più.
Un film? The Dreamers
Una canzone? Imagine di John Lennon, 1971
Un libro? Vietato Obbedire di Concetto Vecchio

Siamo ormai negli anni settanta e si vuole un ritorno all'autenticità, la protesta si è estremizzata, si propende all'anti-tutto, all'anarchia, alla sfiducia, alla rabbia, alla volontà di distruggere la repressione. Perchè il senso di impotenza e di autodistruzione è palpabile.
Come reagire?
Fallo da te!
Borchie, vestiti di pelle, magliette da poco, capelli stravaganti, la musica delle band dei garage.
Do it yourself.
Arrivano i punk. Già presenti nella scena musical, considerati rock grezzo, in questi anni i punk emergono anche come movimento culturale, sinonimo di scandalo e disordine.
The Clash, The Sex pistols, sono l'espressione del nichilismo e della furia spenta e impenitente in cui si è trasformato l'ottimismo della swinging London.

I'm an anarchist/

I'm an antichrist...

Così recitano le prime due righe di Anarchy in the UK, una delle più famose canzoni dei Pistols. In seguito Rotten, cantante del gruppo, rivelò che tutto lo scandalo che suscitò il testo lo divertì molto perchè lui mise la parola antichrist solo per chiudere la rima.

Punk rock, vi pare?

Molti gruppi pop-rock, mod, propendono verso lo psichedelico. Nel 1974 Paul Weller riscoprirà le radici dei Modernisti prima maniera. Questa mistura di generi e il nuovo clima consente un ritorno a quel moving and learning di più di dieci anni prima mai spento del tutto, favorito anche dal primo album dei The Jam, di cui Weller sarà il leader. E' lanciato il mod revival. Sarà un modo diverso di concepire la musica, ma anche di comportarsi, con molte influenze dal punk e dall'hippy, sebbene i punk si proporranno come i nuovi rockers. Sarà lotta aperta coi nuovi mod.

Un film? Quadrophenia dei The Who, 1979









Una canzone? God Save the Queen dei The Sex Pistols

Siamo a fine di questa troppo veloce carrellata negli anni. E' il 1979 e con Quadrophenia, ricomincia il mod revival, come abbiamo detto, ma in questo stesso anno i The Clash escono con un album, London Calling che Rolling Stone, la nota rivista, acclamerà come il miglior album degli anni'80.

Come promesso, dalla Swinging London a London Calling...

Io sono Stan Laurel, per voi con voi, sono le ora nove, perfetto orario. Buonanotte radioascoltatori, sempre in attesa di una chiamata da Londra.

Monday, November 10, 2008

Chapter 2 - La Musica Che Gira Intorno



Perché l'America così come Roma gli fa paura
E' il medio oriente che qui da noi
Non riscuote nessuna fortuna.

Sarà la musica che gira intorno
Quella che non ha futuro
Sarà la musica che gira intorno
Saremo noi che abbiamo nella testa un
Maledetto muro
...


- Non è che può spegnere?
Il tassista non rispondeva, impegnato a muovere la testa e canticchiare come un perfetto idiota.
- Hombre? Non è che può spegnere o abbassare questo frullatore?!
- Cosa?
- Oh Cristo, non ci credo, è una coalizione di imbecilli contro di me...
- Matt!
- E tu ne sei a capo scommetto.

Ma uno che tiene
i suoi anni al guinzaglio
E che si ferma ancora ad ogni lampione
O fa una musica senza futuro
O non ha capito mai nessuna lezione.

Sarà che l'anima della gente
Funziona dappertutto come qui
Sarà che l'anima della gente
Non ha imparato a dire ancora un solo si...


- Le dicevo gentile autista che...cazzo! Ho sonno, voglio dormire, siccome sull'aereo non è consentito addormentarsi con un goccio di whisky, vorrei potermi riposare su questo maledetto sedile di pelle stracciata e la sua musica sgangherata non mi permette assolutamente né di rilassarmi né tantomeno di addormentarmi...cazzo!
Il tassista abbassò il volume al minimo e poi si girò col suo faccione rubicondo verso i suoi clienti.
- Hey calmo, lei è quello famoso vero?
- Sì, o almeno credo...
- Lo scrittore?
- Sì, allora ha beccato il quello famoso giusto...
- Sa quando sono teso anche io ricorro a due vecchi amici: Johnnie e Jack. Oggi c'è solo Jack, però se vuole può usufruirne, magari la aiuta.
Il tassista, un signore sulla cinquantina pelato e grassoccio, mise la mano nel suo più che capiente maglione verde-foresta nera, bucherellato qua e là, e ne tirò fuori una piccola borraccia argentata, porgendola sorridente al professor Matthew Angeli.
- Ecco a lei, assaggi pure.
- Oh Dio esiste!
Afferrai di corsa il contenitore e lo svitai, ma proprio mentre stavo per poggiare le mie assetate labbra all'amato nettare...
- Matt, fra poco c'è la presentazione, non so se dovresti...
- Cristo Mary, non ricominciare ora.
- Io lo dico per il tuo bene.
- Io non mi voglio bene, dopo vent'anni dovrebbe essere chiaro anche a te...maledizione!
- Ma io… sì.
- Ti prego, falla finita.
Gli occhi di Mary si bagnarono teneramente, tanto da renderli lucidi. Combino sempre casini.
- Ora non vorrai metterti a piangere...
- No, ma...

Oddio, singhiozzava. Tappatele i rubinetti.

- No, no, non posso sopportare una crisi di pianto. Ho la testa che mi sta esplodendo, ma perché sono tornato a casa?
Bevvi velocemente una sorsata di whisky e finalmente sentii il mio corpo irrorato del giusto calore, i bronchi, i bronchioli nuovamente aperti, gli occhi meno arrossati e un grande senso di armonia.
- Scusa Mary, puoi perdonarmi?
- Sì, certo amore.
- Fantastico. Ora pensiamo a cose serie. Tassista della Provvidenza ci porti all'hotel...l'hotel...ehm...
- Il Grand Hotel dell’Uguaglianza.
- Esatto, a quell'hotel lì che le ha detto la mia Mary. Devo fare una doccia e bere qualche drink prima di incontrare quell'ammasso di intellettuali snob.
- Certo signore.
- E riaccenda la radio se vuole. Anzi, cantiamo insieme, ma prima mi rimetta in linea col suo amico Jack...
Quante risate ci si possono fare in taxi.


Correva, a perdifiato. Correva. Si guardava dietro di tanto in tanto, ma data l'incredibile velocità che ormai teneva stabilmente, addirittura accelerando in alcuni tratti, ogni sguardo che cercava di tendere oltre le sue scapole dava come risultato solo un insieme indefinito di puntini, ombre, colori mescolati come in una tavolozza di Pollock.Correva ad ogni modo.E lo inseguivano, lo sapeva.Rumori di sterpaglie rotte, rami spezzati, sassolini che schizzano al passaggio del peso delle scarpe e si infrangono, piccoli proiettili, sul tronco degli alberi, sulle foglie.Respiro affannato, un silenzio simulato, ma che è inutile quando si corre, tanto più quando si è terrorizzati. I crepitii notturni, dentro quel bosco si moltiplicavano, le scarpe diventavano innumerevoli, tenebre lunghe si allungavano, ramificandosi in immagini distorte di dita che adocchiano, le voci sussurravano diverse, si davano indicazioni, segnali, avvertimenti, in conclusione, sostegno feroce, ferino, predatore.Lo inseguivano, ad ogni modo.E lui correva, lo sapevano.Non sarebbero andati troppo lontano, le corse devono finire prima o poi: questo principio era ben in mente a tutte e due le compagini, come lo è nella natura primitiva dell'uomo.Una cittadina della Bretagna, case basse, colori soffici, tenui all'imbrunire, strade strette, dinoccolate, diversi spessori e rilievi delle pietre che lastricavano la pavimentazione.Correre, questo importa,non guardare tutt'intorno il paesaggio.Le finestre colorate di nero, di verde, di rosso si riunivano in un colore che, al crepuscolo, diventava una tavolozza uniforme, descrivendo un percorso studiato a tavolino proprio per quella sera: una strada senza vicoli, da cui l'unico modo di uscire era la fuga sudata, guardandosi intorno.Battere di mattonelle, no, scontrarsi di tegole, il rumore vuoto della ceramica che si bacia sui tetti antichi di quel villaggio.Correvano sul tetto loro, gli inseguitori.Dall'alto del cielo potevano seguirsi bene i movimenti rapidi, veloci, a scatti, di quelle ombre, cinti di larghi mantelli, tutti neri, loro neri, fugaci pezzi d'oscurità che saltellavano sopra le case, fissando i loro occhi, perennemente illuminati sulla preda ormai sfiancata.Aumentavano le ombre, ma non scendevano in strada, corteggiavano il percorso della lor vittima, riunendosi, sempre più numerosi e soffocanti, emergendo dalle strade laterali e aggrappandosi alle grondaie per una adunata frettolosa e sopra i piccoli edifici.Poi venne, come spesso accade con le strade, la fine di quella via.Il dirupo era scosceso, straripava di rocce aguzze, figlie di un erosione del tempo che, mai, lascia doma la natura e sprovvista dei suoi aculei per difendersi dagli uomini. Il mare tergeva rovente e folle i suoi scogli, amoreggiando con essi con truce, primordiale erotismo, schiuma su terra, roccia nel mare, sbattendo le sue braccia di onde sul seno florido di una montagna ancora soda.E lo sapevano le due compagini, s'era già detto, prima o poi occorre fermarsi.E così fecero, prima la preda, poi l'inseguitore.Ferma sullo scoglio la triste vittima umana di una commedia divina fatta di eventi naturali che si abbattono gli uni sugli altri, ansimava, ormai vivacemente, le ultime esalazioni della sua vita supposta.Fermi e concentrandosi in una unica macchia, gli arcigni inseguitori, assassini, vampiri, ancestrali mostruosità deformi delle venature della tenebra, aspettavano, senza fiatare, la decisione fatale del loro obiettivo, il decreto sancito di farsi sbranare.Dilaniare.La morte.Una macchia che sempre più stringendosi diveniva nera, di un nero che si amplia e ricopre.Ammazzare.La notte.Il nulla.Un cimitero, le lapidi in terra, una terra coperta da fili d'erba verde brillante, ma, al contempo, scuro, opaco, nebuloso. Angeli della morte a proteggere, nella loro consistenza marmorea, le vite spente dei cari di altre persone persone lontane da quel luogo.La preda si aggira silenziosa tra quelle tombe, gravi, lucenti, nel buio della notte finita o del mattino che comincia, mentre riflessi di luce danno le sembianze distorte di ringhiere usurate e cadenti, piegate, ricurve, odiosamente tetre e inquietanti, paurose.Voci sotterranee, voci nell'aria, voci che sospirano, pianti tremendi di una follia triste che, quando arriva l'ora di dormire non ha chi gli racconti favole e allora, dissennata irrealtà, diventa la pazzia di un inseguitore.Ma ora nessuno insegue, perché nessuno deve correre.Tutto tace.Grilli tra le piante e i crisantemi.Riflessi violacei da lontano, la vittima si appresta verso l'indicazione sicura di quella luce e di fronte a sé, nel bel mezzo di un cimitero, la grande piramide, mai trovata, di tutti i segreti dell'Egitto, ricettacolo dei misteri, delle malattie, del crogiolo orrido e nero del Male, origine sconsacrata della natura umana.Canti rituali.Litanie.Lamenti.Urla.Tutto è rallentato, la preda entra di scatto, senza capire, vuole evitare la sorveglianza di due vampiri e di due uomini con la testa di falco. Entra dentro, nei cunicoli di solidi e grandi mattoni, la luce violacea si perde nei riflessi giallognoli e rossi della sala centrale.Un grande spazio, profondo, una fornace al centro, per terra, una loggia carica di mostri, vampiri, divinità dell'oblio che guarda compiaciutaSu una pedana un guaritore, uno sciamano, un prete, un adoratore del demonio insieme predicano sul corpo lieve d'un ragazzo.Una preda.Poi un tremendo sacerdote gli agguanta il cuore, strappa le carni, fiocca sangue dai flutti interiori, un urlo straziante, risate, lamenti, orrido colare, un grido di dolore che si distorce lancinante nell'aria vuota, il corpo si contrare, risale su stesso, poi cade, crolla, si paralizza, si fa dritto, poi floscio e cade, come spezzato, ricadendo gli arti fuori dall'altare sacrificale.Il sacerdote ha in mano un cuore che pompa, alza lo sguardo, è cieco.Fissa la nuova preda, incauta è voluta entrare nel tempio della sua morte.Per un attimo il vuoto nero delle orbite si fa pupilla di luce e lo guarda, lo indica.Tutti fanno silenzio, lo guardano lo indicano.Lui corre, ma prima o poi dovrà fermarsi. È la legge dell'uomo.

- Uhm…gh…ah!...oddio…che cavolo…
Prese veloce la pistola da sotto il cuscino e si girò di scatto pronto a sparare. Gli occhi affilati nel buio, i denti stretti, un raggio di sole dalla parte opposta della stanza…
- Un incubo, un incubo cazzo…
Si mise seduto sul letto, era madido di sudore, gli occhi sgranati, sentiva bene il battito del cuore, respirava affannosamente.
Fumava troppo.
- Un incubo
Ripeteva. Robert Micheal De Valera aveva problemi di sonno, da anni.
La bocca afflosciata sulla prima sigaretta della giornata, prese il suo zippo dorato e accese quella prolunga di nicotina mezza accartocciata. Il rumore della carta che prendeva fuoco e si bruciava al primo tiro era udibile in tutta la stanza.
Poggiò i piedi per terra e cercò di rilassarsi, si passò una mano tra i capelli corti, castano scuro, anche quelli bagnati, poi, si diede una stropicciata alla canotta bianca, una sistemata ai calzoncini e a quello che c’era sotto i calzoncini, e decise di alzarsi in piedi. Si mosse dritto, con la pistola in mano, verso i fornelli, ma prima fece un salto alla finestra e scostò la tendina fiorata.
Robert Micheal De Valera viveva nel quartiere londinese di Soho, in un vicolo strettissimo, dove i negozi di un lato praticamente si poggiavano sui negozi dell’altro. Negozi…teatri a luci rosse più che altro. Lui era in affitto da una anziana signora, Miss Darling, che era anche la proprietaria del teatro di sotto. Che dire: la pensione della signora era bassa e gli sporcaccioni, i pervertiti, i depressi e i ragazzini in crisi ormonale non finiscono mai.
Un business sicuro insomma.
Ogni tanto Robert amava spostare la tendina e guardare sotto nel vicolo la gente che passava veloce per non farsi accalappiare da chi pubblicizzava i locali. Nonostante le frequentazioni, non certo convenzionali, era un posto tranquillo. Nessuno gli faceva domande, nessuno voleva che gliene venissero fatte. Robert amava il silenzio del suo monolocale, la notte si fermava a fumare e guardava l’insegna luminosa rosa che si accendeva e spegneva ad intermittenza, la gamba luminosa della donna elettrica che si abbassava ed alzava, la scritta – Hot, Hot, Hot – che andava e tornava. Altre volte si rivolgeva ad una visuale alternativa: la parete di mattoncini rossi dell’edificio di fronte, sempre da quel piccolo angolo che s’era riservato spostando appena la tendina.
Era una stanza bigia, sulle pareti carta da parati con motivi anni’60, ormai scrostata, l’intonaco rigonfio per l’umidità e ricco di quegli aloni tra il verde scuro e il grigiastro che dimostrano una pessima cura della casa. Ma lui non doveva ricevere nessun ospite e, quindi non gli interessava.
Neanche Robert Micheal De Valera era una frequentazione convenzionale.
Tolse la canna della pistola dal vetro e la tendina ricadde nella posizione abituale, poi si diresse verso il mobile basso, giallo con i bordi bianchi, della cucina, o meglio, della parte della stanza adibita a cucina, lo aprì e prese una padella, la posizionò sul fornello, accese il gas, poi la fiamma, e afferrò la bottiglia di olio che aveva sul mobile di sopra, niente sportelli, solo le cerniere. Cosparse la padella con l’olio, aspettò che si riscaldasse. Intanto, aprì al frigorifero e prese tre uova. Tutto era pronto. Spaccò le uova e le versò, una ad una, nella padella.
Sfrigolavano. Robert smuoveva convinto la padella, tenendo ben saldo il manico con una mano e con l’altra tenendo la sigaretta che ormai era a arrivata alla sua metà.
Il suo piatto preferito: fried eggs.

- Fried Eggs, per favore.
- Non ne abbiamo, signore.
- Una colazione continentale che non ha due uova fritte? Devo venire io in cucina a farvele?
- Mi dispiace signore, ma la aspettavamo più tardi, l’ora della colazione è passata e non eravamo preparati…
- Per cosa? Per farmi incazzare? A me pare che siate molto preparati in questo, tutti quanti…
- …Non so cosa dire, è il mia prima settimana signore, sto per staccare, non so cosa…
- Non so cosa, non so cosa, ti si è rotto il disco ragazzino? E questo cosa è? Questo bicchiere ti sembra pieno?
- No, signore…
- Sarebbe da picchiarli quelli che non riempiono il bicchiere
- Io glielo riempio se vuole, le ripeto è la mia prima settimana, ho un po’ di emozione poi a conoscere tutti questi importanti personaggi, e…
- Come ti chiami ragazzo?
- Jonathan Schultz, signore
- Bene Jonathan, quando la vita sarà così bella e rosea da farmi sembrare che le tue tenere scuse da cucciolotto siano accettabili, te lo farò sapere, per il momento non me ne frega una stramaledetta verga di quello che devi fare o di chi tu sia…io voglio un martini, rosso, senza ghiaccio e delle fried eggs, prima del prossimo Giubileo se mi è concesso.
- Ma le uova, signore…
- Creale, usa le tue abilità rettali e creale.
- Sì, certo, torno subito.
- Grazie.
- Possibile che ti incontri sempre a rompere le scatole a qualcuno?
- Ma chi diavolo…
- Stan!
- Mary, ciao baby, come stai? Ti trovo in forma stupenda, sei dimagrita un po’, ma sei ancora una favola, dieta? Elisir di lunga vita? Ehi, cosa piccola?
- Ma smettila Stan Laurel, anche tu sembri il solito ragazzino scalmanato.
- Oh, ma io lo sono santo cielo! Se non lo fossi non potrei farmi spupazzare in giro come se fossi una trottola, baby…
- Hai visto Matt, c’è Stan…
- Sì, ho gli occhi ancora…
- Che vecchio brontolone che sei diventato Mattia Angeli!
- Del resto tu non sputi mai Stan Laurel.
- Andiamo a bere qualcosa?
- Ovviamente sì
- Ci accompagni Mary?
- No credo che andrò un po’ in stanza a riposarmi…è stato un lungo viaggio
- Certo.
- Sì ecco brava, andiamo Stan?
- Buon riposo piccola.
- Grazie Stan. Ci vediamo dopo.
Stan e Matthew si diressero verso il bancone della hall. Stan Laurel era un tipo alto, magro, dal passo dinoccolato, due occhiali a cerchio con le lenti viola, i capelli ricci scuri un po’ lunghi da rockstar, una t-shirt con un maiale che imitava lo zio Sam in “I want you” solo che la scritta impressa sulla maglietta era HUMAN FARM.
Matthew Angeli del resto era un tipo di bella presenza, capelli neri raccolti sotto un cappello borsalino, basette ben definite, occhiali da sole a coprire gli occhi sfatti dall’alcol, qualche screpolatura sulla bocca ben coperta da un una barba che contornava le labbra e con un sottile filo si legava al mento, sorriso impeccabile, ma non sorrideva quasi mai ormai, di media statura, sicuramente un po’ appesantita da quella pancia alcolica che aveva da tempo, ma che un doppio petto copriva alla perfezione. Un uomo sempre affascinante se non dava modo al suo interlocutore di odorare tutto il frigo bar che si emanava dalla sua gola.
Jonathan Schultz, un giovane di certo non preparato a questa giornata, correva avanti e indietro e pregava Dio che avesse versato il giusto in quel bicchiere. Partì dal bancone e si diresse verso il tavolo del famoso scrittore.
La radio dell’hotel dava Alice in Wonderland del Bill Evans Trio.
Le scarpe nere lucide del giovane si rispecchiavano sul pavimento, sul quale da poco era stata passata la cera.
Un ticchettio stridulo passeggiava a terra, era il barboncino bianco della Duchessa Menteur che batteva con le piccole unghie, cercando di sfuggire alle amorevoli cure della padrona. Lei era ferma nel grosso abito azzurro di velluto, adornata da gioielli, i capelli tutti ben arroccati verso l’alto, la faccia piena e il trucco tendente a tinte chiare, in accordo con le piume blu che le decoravano il capo. Stava mangiando dei salatini e beveva un campari con ghiaccio. Poco femminile ma molto nobile quel bicchiere in mano a mani così piene d’anelli. I due, il cane e la padrona, si trovavano al primo tavolo di una lunga serie, nella grande hall, sulla sinistra, attaccati alla parete e sfalsati da colonne in stile liberty.
Schultz avrebbe dovuto percorrerle tutte perché Matthew Angeli si era messo al tavolo d’angolo in fondo
- Così nessuno può rompermi i coglioni- gli aveva detto
Superò il secondo tavolo, poi il terzo dove il vecchio signor DeFilippo sovente faceva d’occhio alla duchessa, ammiccando anche con gesti osceni, dei quali, però, la florida duchessa sembrava compiaciuta e lusingata.
Meraviglie della nobiltà.
Per il resto si trattava di una serie di tavoli vuoti, tranne uno in cui dei bambini si divertivano a nascondersi sotto le gambe di legno grave. Così fu per il quarto, il quinto, il sesto…
- E questo lo prendo io
- Ehi!
- Tieni ragazzo, fatti un cervello.
- Ma che c…oh…signor Angeli
Matt con molta calma prese qualcosa dalla tasca e la poggiò sul vassoio del cameriere:
- Dimmi
- Sono cinquanta euro
- Lo so, pensi abbia problemi di vista?
- No, signore, assolutamente, grazie
- Vai su
- Certo, io, signore, oggi…
- Sì è la tua prima settimana, io ho sete, divertiti, su vai via ora
- Sì, signore
- Come mai questa bontà? Non è da Matthew Angeli essere affabili…
- Magari sto invecchiando o mettendo la testa a posto
- Sei vecchio già da parecchi anni, amico mio, e no, non credo che tu stia mettendo la testa a posto, ho visto che faccia aveva Mary…
- Mi volevi portare a prendere da bere o mi volevi confessare, padre?
Poi diede una bella sorsata a quel martini rosso
- Ah, benzina fresca…
Jonathan Schultz rimase imbambolato a guardare quei cinquanta euro: in fondo non era proprio del tutto uno stronzo quel famoso scrittore, pensò.
- Cameriere?
Chiamò una donna dal tavolo ad angolo in fondo, quello che era stato del professor Angeli.
- Sì arrivo immediatamente
Si mise i soldi in tasca e si mosse a passo svelto verso quel tavolo.

La bruma mattutina dei verdi campi inglesi.
Un ragazzo, sbarbatello, la faccia lentigginosa, gli occhi vivaci e i capelli castano scuro mossi dalla brezza che fendeva i campi, abbassando ondate di fili d’erba.
Sibilando.
Il ragazzo avvolto in una grigia giacca di feltro, piena di bruciature e buchi, a passi lunghi, affondava nei fitti prati verdi.
Correva, ma sembrava felice.
Zoppicava, no, era qualcosa di scomposto, come se avesse preso qualche colpo sulla schiena qualche ora prima.
Fumava sigarette di contrabbando. Tossiva ogni tanto e si perdeva nelle macchie intense di verde.
Il ragazzo era appoggiato ad un muretto scurito dal tempo.
Attendeva e fumava.
L’omone scorazzava per le strade sterrate con un vecchio camion sgangherato, blu scuro.
- Sali – disse
- Ok – rispose il ragazzo
- Che hai in faccia mostriciattolo?-
- Caduto dalle scale-
- Certo…come no…-
Il ragazzo portava vistosi lividi da colluttazione. Ma tutti sapevano del rapporto violento che il padre aveva con la bottiglia e coi figli.
L’omone guidò fino ad una fattoria, bigia, metallica, fangosa, vermiglio e nuvole.
L’omone crollò con gli stivali sul terreno fangoso, dondolandosi per i sentieri che collegavano i recinti al capanno, portando dietro di sé un bel maiale grosso, con lo sguardo truce, insensibile. Il ragazzino avvertì un brivido, ma continuò a seguire il tizio.
L’aria sapeva di morte, le querce attorcigliate su se stesse contemplavano la tumida atmosfera, mentre i colori tenui dell’alba si scioglievano verso i colori del grigio. L’omone introdusse tutti nel capanno e poi chiuse la porta scorrevole dietro di sé e accese la luce che, appena, faceva trasparire le facce dei due e la forma del maiale che girava allegro per il terreno battuto.
Un fattore, il vecchio omone grasso con pochi capelli sdentato senza alcun cenno di sorriso che non fosse ambiguo o inquietante, gli aveva già spiegato qualcosa, ma il ragazzo non ricordava cosa.
Avrebbe dovuto attendere e agire come sapeva, senza sapere.
Forse ecco, lui, il fattore, l’avrebbe tenuto, e lui avrebbe tagliato, occorreva far scolare bene tutto il sangue, era importantissimo non si accorgesse di nulla. Ma chi? Cosa non doveva capire?
La carne si sarebbe indurita, sarebbe diventata invendibile se non ad un prezzo che nemmeno contemplava. La carne fresca odora di velluto, è fresca, scivola, impregna le narici di ebbrezza. Nessuno voleva farla indurire.
No.
Credenze di uomini e maiali.
Così l’omone fece segno con gli occhi. Il ragazzo si infilò nell’ombra, ora sentiva la paura l’attesa, mentre il vecchio ammansiva il porco, poi lo bloccò di scatto, una forza disumana quella dell’omone sdentato che tendeva tutti i nervi del collo mostrando una smorfia di sforzo che portava i lati della bocca verso il basso e le gengive a digrignare, la faccia paonazza. L’occhio fulmineo, suino anch’esso, del vecchio penetrò l’ombra, arrivando alla pupilla del ragazzo e poi bloccandogli lo stomaco.
Sentiva bene quella presa dura sugli intestini, quel fiato mozzato.
Lui, a differenza di quelle che pensava, si mosse a comando, freddo, implacabile, l’occhio del suino per un attimo si voltò a scorgere che gli succedeva dietro, ma fu troppo lento per accorgersi del soffio d’una morte che arriva sulla lama di un coltellaccio. Un taglio preciso, netto , profondo, ma non eccessivamente. Sangue, copioso sangue che scendeva dal collo. Da parte a parte rivoli di sangue, a principio, che poi si unirono al centro colando a cascata sul terreno, mentre il taglio che sembrava sottile, decorativo, divenne un evidente squarcio.
Fango e sangue
Morte.
La bestia, dopo pochi inconsapevoli rantoli, tenuta ferma sia dal vecchio che dal ragazzo, restò, in piedi, immobile.
Dignità di chi muore, ucciso a tradimento. Poi cadde: non s’era resa conto di niente.
- ben fatto
disse il fattore, pieno di schizzi di sangue sulle guance e sul naso. Si passò un mano tra i pochi capelli e divennero rossi.
Il ragazzo girò le mani col palmo verso l’alto, le scorse.
Sangue, rosso sangue, rosso, rosso rosso.
Omicidio!

Robert Micheal De Valera ebbe uno scossone improvviso e si accorse che stava sminuzzando le uova nel suo piatto, agitando oziosamente la forchetta da troppo tempo. Riprese a portarsi quel giallo solido alla bocca, a masticare, a fumare, a pensare. Sfiorò la vecchia radio di radica che teneva sul tavolo. Gli occhi scuri pensosi, le lentiggini intorno al naso, i capelli castano scuri, le rughe intorno alla bocca, la barba di qualche giorno.
Era un uomo che stava più vicino ai sessanta che ai cinquanta, nonostante il fisico ancora tonico e ben allenato. Si alzò dal tavolo e mise il piatto vuoto nel tinello. Il rubinetto perde.
Perdeva da anni, ma quel costante cadere di una goccia distratta conciliava il sonno, forse meglio del bicchiere di gin prima di andare a letto.
Si girò intorno, scrutando le pareti di quella casa. La visuale può alzarsi fin sopra il soffitto e scovarlo muovere agitato la testa verso i quattro lati e deglutire, poi avviarsi verso il letto e sedersi al suo bordo, stringersi nelle spalle e dare profondi tiri di sigaretta, inalando e espirando ingenti quantità di fumo.
Ai piedi del letto una sacca mezza piena, l’armadio a muro è aperto. Robert vede un paio di calzoni per terra, li raccoglie e si protrae verso la sacca, infilandoli dentro.
Sembra essere più qualcuno in partenza che uno appena arrivato.
Scricchiolio di legno.
Le scale.
Passi decisi sulla moquette che copre il corridoio esterno.
Tacchi per scarpe da uomo.
Una pressione che fa immaginare un uomo asciutto ma ben saldo. Un rumore inedito in quell’edificio. I passi si fermano nello spazio antistante la mia stanza.
Mi volto, guardo sul letto. Eccola.
Prendo la pistola. Sono scalzo, questo rende silenziosi, o poco udibili i miei passi.
Nascondo la pistola dietro la schiena.
Le scarpe fanno uno, due, tre passi verso la porta.
Bussa.
Trattengo il respiro, attendo.
Bussa ancora.
- De Valera?
Conosce il mio nome, io non la sua voce. Porto la pistola in avanti, la tengo verso il basso, mi muovo con le gambe piegate verso l’occhiello, do una sbirciata. Non so chi sia.
Faccio uno due, quattro passi indietro, così da non farmi crollare addosso la porta in caso di presenze ostili dall’altra parte.
Una goccia di sudore sulla pelle cala dalla nuca fino al mento percorrendo una linea ricurva.
Alzo la pistola e vaffanculo:
- Chi è?
Tono sicuro.
- Giovani Eroi della Nuova Inghilterra
Tono sicuro pure lui, sapeva di trovarmi dentro. Ma non dice la verità.
- Cosa vuoi?
- Non mi conosci
Questo lo so, mi dà informazioni inutili. Prende tempo. È giovane.
- Questo lo so – rispondo
- Ma conosci l’uomo per cui lavoro?
È una risposta abbastanza scontata da dare, ma lo lascio fare.
- E per chi lavori?
Ormai la conversazione sta scadendo di livello.
- La Voce
Prima che gli dica di fare tre passi indietro, decido di farlo entrare.
- Fai tre passi indietro
Appunto…
- Okay
Apro la porta, davanti a me un ragazzo sul metro e ottanta, vestito con dolce vita blu e giaccone di pelle marrone, capelli rossi, sguardo ambiguo, labbra sottili, sembra un idiota, ma la Voce non manda idioti, sempre che l’abbia mandato la Voce.
Io per non far torto a nessuno, lo accolgo con la pistola ben indirizzata poco sopra il suo naso.
Lo tasto per sentire se è armato, lo tengo fuori dall’appartamento, se gli devo sparare non voglio che si sporchi la moquette di Miss Darling. Dovrei uccidere anche lei. Troppi morti inutili.
- Ok entra.
- Grazie – fa lui con un sorriso quasi irrisorio
Credo che sappia che stavo per ucciderlo, ma non sa che potrei farlo anche ora, senza sentire quello che ha da comunicarmi. Ambasciator non porta pena, ma non vuol dire che sia immortale.
Gli faccio segno di sedersi al tavolo.

Granada. Bill Evans. Una bocca che sorregge una sigaretta. Un uomo che suona. Solo Archi. Tutta l’orchestra. Musicisti vestiti in smoking bianco, calzoni neri, papillon nero. Si agitano sui loro strumenti. È pur sempre Bill Evans.
L’angolazione dell’obiettivo si apre e ora riprende tutta la sala. Vari tavolini tondi. La luce del primo pomeriggio filtra dalle larghe finestre a destra e a sinistra. L’orchestra è in fondo alla sala, sul lato piccolo del rettangolo. Ora giriamo intorno ad un punto focale, trecentosessanta gradi di possibilità visiva: in fondo, dalla parte opposta all’orchestra, due tavoli per il buffet, è la fine di un brunch, vedendo come le fiamminghe siano state ormai rastrellate. I camerieri parlano tra loro: Jonathan Schultz è ancora lì. Pare non abbia ottenuto il permesso, giornata troppo importante, ha detto il capo. Qualche donna vestita con comodi tailleur sulle tonalità del marrone parla con in mano dello spumante: quest’anno è l’anno del marrone, la first lady ne indossa in quantità smisurata. Siede in un tavolo rotondo tra le prime file: una signora di classe, molto riservata, poco appariscente, occhiale con lente appena tendente al marrone, capelli terra di Siena ben sistemati in una acconciatura costruita verso l’alto che lascia cadere qualche ricciolo in libertà, tailleur beige con collana di perle e camicetta bianca con fronzoli, sorride e scherza col vicino, lo invita a riempire il posto vuoto vicino a lei. Il Presidente non interverrà al brunch, per motivi tecnici dopo i fatti di Lisbona e le tensioni della recente rielezione. Il vicino, dopo qualche tentennamento, con un piccolo balzo passa di sedia tra le risate generali. Mascella squadrata, occhi azzurri, parecchie rughe, soprattutto intorno agli occhi, sorriso da pubblicità del dentifricio, capelli tra il bianco e il dorato, nel suo doppio petto blu scuro, impone importanza e fiducia in un qualche sogno non ben identificato. È il Ministro John Smith. Ama gesticolare con le grandi mani, spiegando i suoi progetti e le sue idee come se li stesse costruendo sul momento. Impone i palmi,li rigira, crea cubi, stringe i pugni, contrae le dita, agita il braccio, poi lancia una grande risata. Un uomo simpatico se non fosse uno dei personaggi più discussi della UE, ma anche uno con le maggiori influenze per numero di voti e sostenitori nella sua corrente. Accanto siede la Duchessa Menteur e il suo tenero barboncino. Lei ascolta deliziata le innovazioni del nuovo governo che escono dalla bocca del ministro con rapida fluidità, intanto mangia un bignè ricolmo di cioccolato, sporcandosi ai lati della bocca. Grinzosa e sgraziata, ma pur sempre molto nobile, non se ne accorge o non dà conto al fatto. Di tanto in tanto prende il piccolo cagnolino e se lo bacio, lui la spazzola con la lingua ai lati della bocca.
Ovviamente. Il barboncino dovrebbe sedere accanto alla duchessa, ma preferisce starle in braccio e giocare con le palline di mozzarella fritta che sono nel piatto della padrona. La signorina Menteur nota per le sue relazioni focose in gioventù e per accalappiare giovani ragazzi in vecchiaia, è la finanziatrice principale del premio e della corrente del Presidente. Gli si può perdonare si sporchi la bocca e non se la pulisca mai. Così anche il posto successivo è vuoto, lasciato dal cane.
Stan Laurel odia i cani. Fortunatamente la bestiaccia si è spostata nelle braccia pendule delle duchessa, ma Stan comunque mangia con la sedia spostata verso il suo vicino umano. Ogni tanto inforchetta qualche pezzo della fetta di torta ai mirtilli che ha preso al buffet e sorride. È un gran chiacchierone Stan, è lo speaker di una radio importante, ma oggi è un po’ trattenuto dalla presenza del ministro Smith: si odiano. Stan lance frecciate al veleno contro il ministro, durante le sue rubriche radiofoniche, accusandolo di essere in ordine: un Belzebù, il Richelieu dei nostri poveri tempi, la voce del regime, il Talleyrand venuto dall’ovest e tanti altri soprannomi ancora. D’altro canto la fama di Stan Laurel è enorme, e ogni sua scelta, battuta, presa di posizione crea una enorme eco nel mondo dei radioascoltatori. Il passato di questo ragazzo, ormai un po’ rugoso, ma sempre smagliante è avvolto nel mistero: un ex rivoluzionario dicono alcuni, un semplice speaker che ha fatto carriera, altri, di sicuro nessuno può non affermare che la sua leggenda sia nata proprio durante la protesta giovanile, come inviato e redattore di molti giornali e radio indipendenti, o che sia stato arrestato e rilasciato svariate volte durante le sue partecipazioni a cortei di protesta, è - un’icona vivente di come la società premi gli eversivi – ama sottolineare John Smith. Infatti, voci vicine al governo, vogliono che il ministro Smith sia convinto che Laurel appartenga al movimento terroristico dei Giovani Eroi della Nuova Inghilterra, giacché, ed è un fatto, nei suoi discorsi radiofonici non è raro che egli nomini questa sigla o la sottintenda.
Il vicino umano di Laurel è Marcel Zenot, un intellettuale molto conosciuto, amico della duchessa, completo di velluto, scuro, maglia di lana sottile con collo alto, nera, capelli rossi tirati ben indietro e tenuti dalla brillantina, occhiali spessi, neri, poggiati sul naso, le lenti sono ininfluenti per la vista di Zenot, è solo una questione di immagine, fuma un sigaretto con fare altero, sulle labbra carnose due baffi alla “I Tre Moschettieri”. Segue il discorso con attenzione, pronto a lanciare qualche giudizio ispirato.
Il professor Angeli lo guarda con un sorriso che gli sta per sfuggire da un momento all’altro, facendosi d’occhi di tanto in tanto con Stan Laurel. Il professore ha in mano una coppa di Bellini, gli occhi un po’ sgranati e fissi su Zenot che si tocca il collo nervosamente già da una decina di minuti, ma fa finta di nulla. Il professore è completamente disinteressato a ciò che si dice.
Accanto a lui, con piccoli colpi sistematici alla gamba sinistra, Mary, la sua Mary, continua a richiamare l’attenzione di Matthew e, intanto, sorride e partecipa interessata alla conversazione. Una donna splendida, pelle candida, lunghi capelli castani che riflettono naturali striature tendenti al rosso, gli occhi azzurri del mare d’estate, la bocca composta, fine, le mani che sistemano le pieghe della tovaglia con delicatezza, mani raffinate, adornate da alcun gioiello. Ogni tanto poggia le mani sul ventre e segue compita nel suo vestito fiorato, leggero.
- E lei cosa ne pensa Mary?
Interviene Vanessa Hodgson, reporter investigativa, molto cara alla first lady, una ragazza leggermente robusta, i capelli mossi tra il castano e il biondo, una maglietta scollata che le si poggia sulle spalle, modi diretti, sguardo scuro e malizioso, bocca sempre raccolta ad aspettare un errore, fuma sigarette nazionali, il cui pacchetto è inevitabilmente poggiato vicino al piatto, brutto vizio dei giornalisti. E con questo è finita la tavolata.
- Mary?
- Oh sì, perdonami Vanessa, devo essere franca non ho molta confidenza con queste nuove tecnologie, sono talmente impegnata col lavoro di Matthew che mi pare davvero difficile possa curare questo genere di passatempi.
- Beh cara anche io sono sempre in giro con mio marito, ma non potrei rinunciarvi –
suggerisce la first lady
- Non credo siano dei mezzi di comunicazione sicuri, se posso permettermi…
- Oh John Smith, per te sarebbe pericoloso anche un bunker nello spazio, fortuna che mio marito non ti ha nominato ministro della Giustizia e dei Doveri Pubblici, altrimenti non oso sapere cosa mi faresti…- la first lady dà d’occhio ai convitati con sguardo ammiccante, muovendo in avanti le mani come per scacciare le mosche.
Risate.
- Beh, io credo che Spicebook sia una invenzione sensazionale, ho trovato lì i miei ultimi tre compagni, sapete? Vero Napoleone? – sussurra maliziosamente la duchessa, accarezzando il muso del cane
- E tutti under 30…
- Venessa! Non è questo il modo di parlare alla duchessa Menteur
- Oh first lady, carissima, non siamo così formali, dopotutto è solo cronaca, c’è da aspettarselo da una giornalista, giusto signorina Hodgson?
- Ovviamente
Risate.
- E senti piccola mia, tu, invece, love affairs?
- Oh, sono troppo schietta per prendere qualcuno che mi sopporti più di una settimana
- Capisco, beh…dovresti provare almeno due settimane
- Duchessa!
- Oh, first lady, diciamoci la verità, non siamo di certo pronte ad una vita di sudoku e passeggiate romantiche finché morte non ci separi, noi ragazze, o sbaglio signorina Hodgson?
- Dopotutto è solo cronaca…
Risate.
- Finiamo questo basso gossip, credo che anche Mary concorderà, si parlava di Spicebook
- Donne impegnate…– sospira con malizia la duchessa, Napoleone guaisce come per assentire.
- Marcel cosa ne pensa lei di questo Spicebook?
- Credo sia solo la bassa espressione di una società piccolo borghese, first lady – boccata di fumo, il professore fa un piccolo verso dalla bocca, una risata trattenuta.
- Io non sono una piccolo borghese Marcel
- Non mi riferivo, di certo a lei, Duchessa
- Di certo sarebbe da identificare in un motivo sociologico – esordisce Stan Laurel
- Di certo, molte sono le cose che andrebbero chiarite alla luce di un motivo sociologico, come gli atti di terrorismo o altro ancora… - Smith indirizza le mani verso lo speaker, che tace.
- Scusate se interrompo il combattimento dei galli, ma credo che il signor Laurel abbia ragione, se proprio dobbiamo dare una critica a questo fenomeno dovremmo inquadrare la società che viviamo, la cultura, psicanalizzare la collettività come frutto di anni di noia e sviluppo economico, mancanza di stimoli…
- Sono d’accordo Vanessa, non che ne sappia molto, ma…
- Beh sei laureata in sociologia e psicologia, chi meglio di te Mary!
- Vedo che sei informatissima Vanessa
- Mestiere…
- Ma è da molto che non mi concentro su questi studi, preferisco accordarmi alla tua tesi
- E lei professore?
- …
- Professore?
- Eh, sì?
- Cosa ne pensa?
- …Che questo tavolo avrebbe bisogno di essere psicanalizzato alla luce delle c…vado in bagno, scusate.

Lui ha uno sguardo scuro, occhi neri, non sembra cattivo, ma è inquietante, freddo.
- Peter Donovan ti chiami…
- Sì signor De Valera
Fa sempre le solite domande, non parla di niente, vuole capire chi sia in realtà.
- E ti manda la Voce?
- Sì
- E cosa vuole?
- Una missione
- Ne ho già una
- Lo sappiamo
- Bene
- …
- Caffè?
- Sì, grazie
Lascia la pistola sul tavolo, una Colt 1911, pulita, sembra quasi mai usata, se non mai. Mi dà le spalle e se ne va ai fornelli, dove mette su il bollitore. Sembra troppo sicuro: o è scemo o vuole farmi fuori.
Non è uno scemo.
Mi alzo e gli do le spalle, sento che mi sorveglia. Giro per la stanza: orribile. È tutto ammucchiato, tutto in rovina, decadente.
- Posso fumare?
Chiedo
- Ci mancherebbe, è un dovere qui dentro
Fa una battuta.
Noto la borsa mezza piena ai piedi del letto, l’armadio in subbuglio, a cui mancano chiaramente degli elementi.
- In partenza?
Attimo di pausa, sta in silenzio, l’acqua mormora. Non mi guarda mai.
- Sì
- Per dove?
- Viaggio di piacere
- Ho capito
La radio sul tavolo è un bel modello, vecchio, di legno.
- Posso mettere un po’ di musica?
- Fa pure
Accendo, metto su Radio Golpe.

Robbin' people with a six-gun
I fought the law and the law won
I fought the law and the law won
I lost my girl and I lost my fun
I fought the law and the law won
I fought the law and the law won

The Clash, I fought the law.

- Lui era un caro amico…beh, qualche volta è stato più di un amico…
Risate.
- Duchessa credo debba diminuire lo spumante, non è neanche l’una…
- Ministro, so io cosa debbo fare, vero Napoleone?
Il barboncino abbaia sommessamente.
- Del resto possiamo immaginare l’amicizia come l’amore senza sesso
sentenzia Marcel Zenot.
- Cazzate…
sentenzia Matthew Angeli.
- La sua affermazione dà luogo ad una disputa più ampia
osserva la first lady
- Senza dubbio, e soprattutto dove sono tutti questi amici che conosce la duchessa?
Risate. Ma Zenot è nero in volto, non soddisfatto e perciò:
- Può ripetere cosa ha detto professore?
- Ma no, stava bisbigliando per conto suo, vero Matt? – giustifica Mary
Matthew Angeli sta bevendo il suo quarto Bellini, fisso verso un punto, chissà dove nella stanza.
- …No…
- Cosa?
- Già, cosa intendeva professore?
- Volevo solo dire che ciò che ha detto mi pare il prodotto di una società piccolo borghese, tutto qui…
Il professore sposta lo sguardo verso Zenot, lo squadra per un attimo, fa una smorfia e si rigira. L’intellettuale Marcel Zenot arrossisce, si tocca il collo della maglia e mentre proprio sta per rispondere…
- Bene, discorso, discorso, scusate ma è il momento…
Stan Laurel alzandosi dalla sua sedia. Si dirige verso l’orchestra richiamandone l’attenzione e facendogli abbassare il volume. Prende il microfono, dà due colpi, fa un segno ad un gabbiotto laterale dove ci sono due dj:
- ehm ehm…Scusate signori, siete in diretta su RCC, radio cultura continua…

Mi avvicinai ai fornelli, lui era di spalle.
- Così quale è la missione che la Voce ha per me?
- Niente di particolare, è solo un compito di ridimensionamento dei ranghi…
- Non mi pare voglia ridimensionarli…
- Perché?
- Beh, tu dici di essere nella Nuova Inghilterra, ma se è così io dovrei saperlo…
- Stanno cambiando un po’ i piani, anche per questo sono qui…
- La Voce dovrebbe parlare con me visto che coordino io tutte le azioni della Nuova Inghilterra, ma ho già da qualche tempo l’impressione che non sia così
- Parlane con la Voce
- Lo farò, molto presto, magari durante il mio viaggio di piacere, Eamon McCarthy…
Rimasi confuso per qualche istante, il tempo necessario per fargli schivare il coltello che gli stavo conficcando nella schiena.
La radio era troppo alta. Perfetto.

London calling to the faraway towns
Now that war is declared-and battle come down
London calling to the underworld
Come out of the cupboard, all you boys and girls
London calling, now don't look at us
All that phoney Beatlemania has bitten the dust
London calling, see we ain't got no swing
'Cept for the ring of that truncheon thing

Tirai un altro colpo.

- …ha scritto poesie, articoli, romanzi, e saggi tra cui il famosissimo “Città Irrisolte”, per cui siamo oggi tutti qui presenti per celebrarlo…
- Che cos’è sta pagliacciata…
- Shhhh
- …ha ricevuto premi in tutto il mondo, come del resto le traduzioni dei suoi scritti sono ormai disponibili in 32 lingue differenti…
- …che noia, non c’è bisogno che Stan mi racconti la mia vita…
- Matt, smettila, se mi fai indispettire anche in questo momento, non te lo perdonerò mai
- Pfff…
- …e più di tutto è fondatore della Young Poets Association che ogni anno finanzia un ragazzo che non ha le possibilità economiche adeguate, ma potenzialità artistica, ad emergere dal mare magnum di questo mondo difficile e poco meritocratico…
- Ci manca solo che dica che ho conosciuto il Papa, il Dalai lama ed Elvis…
- Ma non sei un minimo emozionato? È il premio più importante nella carriera di un artista, di un uomo di successo
- Non è questo quello che mi aspettavo per emozionarmi.
- …un uomo un po’ rude, ma di grande spessore umano e letterario. È per me un onore presentarvi il professor Matthew Angeli, vincitore del premio dell’Uguaglianza Europea di quest’anno.
- Evviva! – borbotta il professore
L’orchestra rialza il volume. Fly me to the moon.
Mi alzo, sorrido, saluto, un occhio di bue mi prende in pieno, mentre la sala si oscura. Che porcata.
Mary, la mia dolce Mary è eccitatissima per questa mascherata, mi gira verso di lei, mi aggiusta il collo della giacca e mi bacia:
- Come ti senti?
- Voglio tornare a casa
- Ti amo
- Già…
- Dai, vieni qui da me Matt, non fare attendere gli ospiti
- Vai amore
- Sì sì…eccomi!
Sorrido e saluto ancora. Abbasso la testa verso Marcel Zenot, il coglione pensatore dei miei stivali e sorridendo a quarantanove denti gli sussurro una cosa.
- Tu vorresti stare dalla parte del popolo vero?
Gli stringo la giacca con una mano.
- Tu vorresti, ma questo vestito spiega molto di te…
Gli premo sulla spalla, puzzo d’alcol.
- Tu non sei un intellettuale, mi senti Marcel Zenot? Tu sei un manichino di velluto vestito, finanziato da una puttana vecchia e grassa, che magari ti sei anche scopato per prendere due soldi. Tu sei la merda da cui mi pulisco il buco del culo tutte le mattine, tu non sei niente Marcel Zenot, imparalo…
Gli do due pacche dietro la schiena per cordialità.
- E per quanto impegno ci metterai, non sarai mai niente perché sei marcio dentro e il cervello l’hai ben tappato in un pacchetto regalo, per non far uscire la puzza fuori, ma quando apri la bocca si sente che olezzo hai, Marcel Zenot…
Lo spingo con calma lontano da me, rialzo la testa, sorrido.
- Ora scusami ma devo andare a far eccitare qualche dozzina di cazzi mosci come te…
E vado verso Stan. Che io ricordi, e avevo bevuto molto, non ritrovai Zenot al mio ritorno.

È bravo, ma non abbastanza. Schivo il suo colpo, poi riparte, gli fermo il braccio, colpisco il polso col ginocchio, il coltello cade. Non si fa bloccare, mi spintona.

The ice age is coming, the sun is zooming in
Engines stop running and the wheat is growing thin
A nuclear error, but I have no fear
London is drowning-and I live by the river

Mi sembra impreparato. Di solito si spintona quando si è finita la parte dei preliminari.
Gli falcio la gamba d’appoggio. Cade.
Gioventù…

- Volevo ringraziare il Ministro Smith, la first lady, l’organizzatrice del premio, la duchessa Menteur, voi che siete qui per esservi sorbiti questa sequela di lodi, poi un bacio sincero al mio heart angel, Mary che, a differenza vostra, mi sopporta da venticinque anni…
Li faccio ridere, davvero molto, quasi quasi ci prendo gusto.
- … capirete lo stato dei suoi nervi. Mi sento, dopo questa carriera, un po’ spaesato, cosa cerco ancora? Mi sento un personaggio in cerca d’autore…già, e anche un po’ brillo…
Ci sa fare il ragazzo, pensa il Presidente.
- …per cui non vi tedierei ulteriormente e me ne andrei a posto. Grazie e buon ascolto del mio libro su RCC. Per chi vorrà, a stasera alla premiazione
- Premiazione che si terrà al Palazzo dei Congressi in Roma, alla presenza del presidente della UE. Io sono Stan Laurel, per voi con voi, continua la musica e la maratona di lettura. Buona giornata a voi radioascoltatori e a voi gentile pubblico non pagante.
Il Presidente spense la radio e si diresse verso il soggiorno della sua grande villa romana.
- Ragazzi, il pranzo è quasi pronto, andate a lavarvi le mani
- Sì, papà
- Sì, finiamo di vedere la TV
Il Presidente aveva due bellissimi ragazzi biondi, uno di sedici e uno di tredici anni.
- Smettetela con questa televisione
- Ma ci sei sempre tu e lo zio John e la mamma, e poi non decidete voi il palo in sesto?
- Palinsesto
- Sì papà, quello
- Ma questo non vuol dire che non ci siano attività più interessanti da fare, più costruttive
- Ma la TV è bella!
- Non tutto ciò che è bello è utile o positivo, o fa bene
- La mamma è bella – disse il più piccolo
- La mamma è un’eccezione alla regola Tommy, allora
- Che attività più interessanti ci sono da fare, papà?- disse il maggiore
- Non saprei Jimmy, leggere un libro.
- Bleah
Il Presidente sorrise.
- Beh, ecco cosa potreste fare…
- Cosa papà?
- Venite, vedete questa?
- Sì
- È una radio
- Lo sappiamo
- Ah sì?
- Sì, papà, anche se è una cosa antica
- È dalle cose vecchie che vengono le sorprese migliori, imparate ad ascoltare, la radio, e lasciate stare la TV
- Ma…
- E ora a lavarvi le mani su
- Sì

Mi prende le gambe da terra, cado anche io, ma mi reggo con una gamba in piedi e mi rialzo proprio mentre lui mi sta scattando addosso, lo schivo, gli do un calcio dietro la schiena che lo fa cadere a terra. Lo scaravento al suolo, mi fiondo sul suo corpo.
È il momento.
- Mi dispiace ragazzo
Eamon McCarthy sputa un rivolo di sangue dalla bocca, spalanca gli occhi, restano fissi, immobili. Robert De Valera lo alza dal pavimento e lo butta sul tavolo. Non vuole sporcare la moquette. Sfila l’ago da lana che gli ha conficcato dietro la nuca con delicatezza, il sangue non esce dal buco se non per una goccia. De Valera si concentra sull’ago sporco appena estratto.

Il ragazzo girò le mani col palmo verso l’alto, le scorse.
Sangue, rosso sangue, rosso, rosso rosso.
Omicidio!

Ebbe un brivido si sedette, le braccia sul tavolo.
I ricordi di più vite spente aleggiavano sui muri ingialliti di quella stanza, sulla carta da parati arricciata. E lo fissavano per la vergogna che verso di lui provavano. Quel vecchio diavolo nostalgico come lui questo non poteva sopportarlo.
La porta batteva da sola, forse il vento. Un uomo solo in una stanza, accanto ad un cadavere. I ricordi ancora a guardarlo. Occhi fissi dalla pareti, fissi fissi fissi. Alzò lo sguardo al soffitto, poi li ritirò in basso. Diede un pugno alla radio che cadde. Si sintonizzò su un’altra frequenza.
Tom Jones, It’s Not Unusual

It's not unusual to be loved by anyone
It's not unusual to have fun with anyone
but when I see you hanging about with anyone
It's not unusual to see me cry,
oh I wanna' die


Solo mani tra i capelli, a tappare le orecchie.

[Credits: Photos - Last Days & I've seen it all - by Michele Castellano]