Programmazione

UN ROMANZO ONLINE. OGNI LUNEDI' UN NUOVO CAPITOLO.OGNI VENERDI' GLI APPROFONDIMENTI, LE SUGGESTIONI, I RIFERIMENTI CHE HANNO ISPIRATO IL ROMANZO, PER CHI DESIDERA ENTRARE IN UNA DIMENSIONE FATTA DI MUSICA, EVENTI, IMMAGINI, FILM E DIPINTI. UN MELTIN' POT DI INFLUENZE COSI' DA NON DOVER SOLO CREARE CON LA FANTASIA, MA POTER SFRUTTARE AL MASSIMO ELEMENTI CONCRETI E TRASCENDERLI PER ADDENTRARSI NELLE CITTA' IRRISOLTE.
UNA PROGRAMMAZIONE POSSIBILE SOLO SU UNA RADIO CHE NON ESISTE E TRAMETTE OVUNQUE.
OLTRE OGNI EPILOGO.

-R.S. CENCIARELLI-

Monday, December 1, 2008

Chapter 3 - Riot

- Cosa prende?
Lei indicò col dito leggero e fino qualcosa sulla carta delle bevande.
- Un succo alla pera, perfetto, altro?
Lei alzò la mano, il palmo rivolto verso Jonathan Schultz, reclinando leggermente il capo e sorridendo. Non voleva altro.
- La signora fuma?
Lei fece di no con la testa e diede in mano al cameriere il posacenere.
Jonathan Schultz restò irretito da quella figura eterea, capelli chiari lunghi. Rimase per qualche secondo immobile, come se annuisse, ma in realtà si era imbambolato. Lei si sistemò il vestito lungo, svolazzante, sulle gambe sottili, si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro e poi mise una mano davanti alla bocca, con delicatezza, e sorrise.
- ah, sì, scusi, vado, torno…subito!
Il ragazzo si sistemò frettolosamente il taccuino delle ordinazioni nel taschino della blusa bianca e, quasi cadendo sui suoi passi, si girò e, a passo solerte, si diresse verso il bancone.
Tutte a lui.
Arrivato al centro della sala, dove il barman preparava i drink, si fermò a prendere respiro. Sudava. Non pensava che fare il cameriere comportasse questo stress psicologico. Fece un segno al capocameriere con la mano, quello arrivò dall’altra parte della sala.
- Che c’è Schultz? Hai incontrato Dio e ti ha dato il permesso delle ferie pagate per il prossimo anno?
- No…credo di no
- E allora cosa? Non sei l’unico che lavora in questo hotel
- No,certo, scusi signora, ma volevo chiederle…
- Ancora richieste, ed è la prima settimana, santa pace
- No, non è per soldi o permessi
- Benedetta gioventù, dove andremo a finire, siete degli insolenti, ai miei tempi
- Signore?
- Ah, sempre a chiedere questo e quell’altro, soldi, soldi, e niente lavoro
- Signore…
- Se fossi il grande Capo, i calci nel sedere che vi darei, altro che poca fatica e molto stipendio, erano i tempi, non smetterò mai di ripeterlo, quando avevo la tua età, giovanotto…
- Signore!
- Cosa?
- Volevo solo sapere chi fosse quella donna, lì in fondo, al tavolo dove era seduto il professor Angeli
- Ah, okay
- …
- Lei è Liberty Glasgow ragazzo, la famosa cantante folk, di recente si dice faccia cover in patria in un piccolo locale, povera…
- Perché?
- Storia difficile
- …
- …
- Beh?
- Lei non parla, l’unico modo per sentire la sua voce è sentirla cantare, sembra assurdo ma è così, trauma psicologico…
- Cazzo…
- Schultz!
- Scusi signore, volevo dire, che sfortuna!
- Già, una donna così bella, di fascino, tempo fa, quando i suoi dischi erano di gran moda e tu guardavi i Teletubbies Schultz, la signorina Glasgow era una nostra ospite quasi abituale
- Sì?
- Sì, ragazzo, ama molto Roma, non mi ha mai detto perché, una donna di grande fascino, già
- Signore, ha una cotta?
- E chi non l’avrebbe Schultz…
- Effettivamente è una bella…
Uno schiaffo partì verso la nuca di Jonathan Schultz e lo colpì con un gran fragore.
- Ah!
- Non essere volgare ragazzo
- Ma io…
- Smettila
- Come mai è qui la signorina?
- Non ne ho idea, forse è di passaggio e basta, sono artisti, chi può capirli…
- Già, come quell’altro, un vero str…
Altro schiaffo.
- Tu sei qui per servire i clienti ragazzo, non per commentarli
- Ma lei…
- Io sono il capocameriere, devo essere informato su tutto
- Sì, signore
- Ora vai e trattala bene, dille che la saluto e ricordo con molto affetto
- Certo
In realtà Schultz pensò “col cavolo”, visti i due scappellotti.
- Ah ragazzo, quasi mi scordavo, il grande capo dice che non puoi prenderti il permesso, c’è troppo da fare, sarà per un’altra volta…
- E ti pareva
- Devi imparare molto Schultz, ora vai
- Sì, sì
- Ecco il succo ragazzino!
- Grazie barman

Por una cabeza. Astor Piazzola.
- Avanti, sei un ottimo ballerino!
- Questo non significa che voglia ballare
- Davvero sei un ottimo ballerino Matt?
- No…
- Fai vedere a Mary che sai ballare, vecchio babbuino, balla con lei!
- Mary non sa ballare
- Oh è vero Stan, non sono…
- Questo tango è davvero stupendo, lo balli con me professore…
- E tu chi saresti?
- Vanessa Hodgson, reporter, saremo allo stesso tavolo
- Questo dovrebbe convincermi?
- …
- …
- Secondo me è perché non vuole far vedere la sua pancia…
- Cosa?
- Oddio non ci posso credere
Stan Laurel scoppiò a ridere.
- Dico che può ballare anche con la giacca se non vuole mostrare la pancetta o i segni evidenti dell’invecchiamento
- Ma chi cazzo è questa rompicoglioni!
- Vanessa Hodgson, reporter, gliel’ho detto
- Sì, l’ha fatto, ora la smetta di importunarmi
- Veramente è lei che mi sta offendendo
- Oddio, non è possibile
- Cosa non è possibile professore?
- Niente, lasci perdere…vuole ballare?
- Sì
- Bene, tieni prendi la giacca
Matthew Angeli rimase in gilet e diede la giacca a Stan Laurel che continuava a ridere sommessamente
- Okay, andiamo
- Perfetto
- Non si aspetti Al Pacino in Scent of a Woman
- Non avevo intenzione di aspettarmelo
- Ah Dio…prenda la mia mano e cominci a tacere
Vanessa sorrise e cominciò a tacere. Matthew la strinse a sé, una mano a stringere la sua mano, l’altra mano che le teneva il fianco, mentre il braccio la cingeva dietro la schiena. Un passo lento con la gamba destra, in avanti, poi l’altra gamba, sempre strusciando per terra e avanzando, lei indietreggiava, scivolando sul pavimento, così lui si attorcigliò a lei, tenendola forte e ruotarono, poi lui la lasciò e la tenne solo per una mano, così da riportarla a sé, e, proprio quando erano vicinissimi, farla girare, passargli il respiro veloce sul colle, e girarla ancora, riprenderle la mano e il fianco cambiare direzione, passo lungo della gamba destra poi la sinistra, scivolando sul pavimento, poi stopparsi d’improvviso, ruotare le ginocchia repentinamente dal basso verso l’alto, cambio di direzione, giro, prendere lei e stringerle il collo, con passionalità, quasi toccarla con le labbra, poi lasciarla andare, riprenderla, fermarsi, guardare nel vuoto, fare un cerchio con la punta della scarpa destra, piegandosi verso il terreno, scivolando, senza fretta, come quando si fa l’amore, lasciando che l’attesa strugga di piacere il partner, risalire in piedi, dritto sulle gambe veloce, piegare la sua schiena farla scendere verso il basso, la tenne mentre il corpo girava intorno ai suoi fianchi, poi furono di nuovo uno accanto all’altro, lui piegò la gamba e lei si distese su di essa, risalirono, lei portò la sua gamba in mezzo alle sue, lui la fece ruotare nuovamente, si fermarono, oscillarono per un po’ uno davanti all’altro, poi lui lasciò andare e mentre girava la strinse di nuovo al suo corpo, duro, tirato, rabbioso.


- Basta
Disse e si fece ridare la giacca da Stan, mentre si sistemava la camicia nei pantaloni.
- E’ un ottimo ballerino, complimenti professore
- La smetta di eccitarsi tutta per me, andiamo Mary?
- Sì, vengo subito
Lui fece per guardarla, ma poi ritirò indietro lo sguardo e si avviò al tavolo del brunch.
- Come sapevi che ballava così Stan?
- L’avevo visto ballare
- Io non l’ho mai visto in venticinque anni, credevo fosse un pezzo di legno, non è da lui
- Era molto tempo fa, prima che vi conosceste

- Mi chiamo Alexander Colin McMillan e, come saprete, tutti mi chiamano Alex.
Stamattina, sarei dovuto andare all’università. Studio qualcosa che assomiglia ad un corso di Scienze Politiche, con degli innesti approfonditi di Scienze Economiche. Non l’ho capito nemmeno io che studio, non che mi interessi più di tanto entrare nel vivo di questa indagine.
Io vado lì, loro parlano, io saluto, a volte prendo appunti, chiacchiero, ci sono bravi ragazzi, poi torno a casa.
Non mi piace quello che ho deciso di diventare da grande. Allora, verso metà giornata, inizio a scrivere.
Io scrivo poesie, vorrei buttar giù un bel romanzo, ma mi pare già d’avervelo detto.
Ricordate, quando vi raccontai del fatto che sono un ritardatario istituzionale? Sì? Okay.
Già vi ho spifferato che oggi avevo più alti impegni accademici? Sì? Bene.
Quindi, sommate la mia capacità di arrivare sempre dopo l’ora X, e la mia grande voglia di sedermi sui sapienti seggiolini della mia facoltà, ed ecco che mi ritrovo a girare per una libreria, avendo costretto una mia amica ad accompagnarmi. Lei ora mi odia perché non ha mai mancato una lezione, studia a qualsiasi ora, si prepara mentalmente al corso del giorno dopo, ma, in realtà, non sa quanto gli farà bene in futuro un po’ d’aria dei libri. Nei libri, specie quelli nascosti, che leggono in pochi, ci sono nascosti i segreti degli uomini. A volte non sono poi così bastardo, cerco anche di aiutare i miei amici.
A dirvi la verità, però, non credo che amica sia la parola esatta…ricordate Ann? Vi ho già detto che si chiamava Ann?
No, non Anne, quella è la ex ragazza di Jean, per chi mi avete preso? Potrei mai uscire con la ex del mio migliore amico? No, lo so che non mi giudichereste mai uno di quelli lì, il fatto è che oggi come oggi hanno quasi tutti lo stesso nome, quindi, meglio precisare…
- Alex, andiamo?-
- Oh sì, arrivo, arrivo Ann-
- Ann è, come dire, sì, credo abbiate capito…Ann non è una amica, lei è la mia ex. Lo so, lo so…
- Alex! Non possiamo restare tutto il giorno davanti a quella porta a vetri, io salgo al piano di sopra-
- Sì, arrivo-
- Beh, vedete, è lei. Che dire. Lo so, avete ragione a guardarmi così, ma ogni tanto ci ricado. Sapete come vanno queste cose, ti viene voglia di prendere il telefono, di chiamare, poi lasci perdere perché sai che è idiota (infatti lo è), così, alla fine, da bravo idiota, resti a guardare il telefonino, sperando che lei ti mandi un messaggio e, alla fine, ti ritrovi a “Ciao Ann, che fai? Ti va di accompagnarmi in libreria” “No (perché di solito ti prendi tutti gli schiaffi che girano per il vicinato quando tieni a qualcosa, teorema scientifico, altro che amore), “dai almeno stacchi un po’ dallo studio”, “devo pensarci” “ok!” “ti richiamo io” “va bene Ann (e in quel momento ti ripeti e speri che lo faccia davvero, richiamarti dico)”. E, at the very end, signori e signore, mesdames et monsieurs, don y donas, eccomi qua. Non vi ho convinto vero? Guardate che facce che avete? Lo so, avete ragione, sono un cretino…pensate che non lo sappia? Ma che ci posso fare? L’amore è la scienza degli schiaffi in faccia che fanno male solo quando non li ricevi più. Bella questa, vero? Ve l’avevo detto che scrivevo poesie.

- Scusi, dovrei entrare…- esordì l’inserviente della libreria
- Oh certo, mi scusi- disse Alex, facendolo passare dentro la porta a vetro. Quando la porta si richiuse, la sua immagine era ancora riflessa lì: - beh, ora credo proprio che me ne debba andare. Ancora non capisco perché vi racconti certe cose, ma siete un uditorio davvero impeccabile, quindi…
- Alex!- irritata Ann
- Arrivo, arrivo- diede un ultimo sguardo allo specchio: - un idiota…-
Salirono entrambi al piano di sopra dove c’erano i tascabili: paghi poco, leggi bene.

Jonathan Schultz si diresse verso il tavolino col succo sopra un vassoio. Arrivò così ansioso che neanche guardava in alto, fissava i punti in cui le mattonelle del pavimento si univano. Camminava, camminava…
- oh, mer…
- Ehi, fa attenzione ragazzino!
- Sì scusi, sì scusi, le ho sporcato la giacca, io ecco…
Si mise col tovagliolo a pulire la macchia, sputò sopra il la stoffa bianca e poi la poggiò sulla giacca verde militare del signore. Un uomo distinto alto, capelli neri.
- Ma che diavolo fai!
Lo scansò con una manata.
- Oddio, mi scusi, è la mia prima…
- Vattene…
Lo sguardo torvo del tipo mise Jonathan in guardia, così si scusò ancora e se ne andò via, correndo a testa alta, visto che del contenuto del bicchiere era stata persa solo una piccola quantità.
Superò più tavoli, la duchessa non c’era più, ma il suo maledetto cane aveva lasciato un ricordino. - Maledetto cane di…ma?!
Il tavolo della signorina Glasgow era vuoto e c’era sopra un biglietto con dieci sterline:
“Grazie lo stesso, mi saluti il capocameriere”
Il ragazzo prese i soldi e se li mise in tasca, piegò il foglietto e lo inserì tra la giacca e la camicia. Sorrise.

Alex, come suo solito, si mise a spulciare ogni anfratto di quelli scaffali, si metteva in ginocchio piegava la schiena, faceva scatti improvvisi da una parte all’altra della libreria, girava la testa a destra e a manca, seguendo le file di costine dei libri e i loro titoli, cercando qualcosa che lo attraesse, poi, si fermava, prendeva in mano qualche volume, lo scrutava, lo rivoltava, analizzava, si studiava il titolo, la copertina, poi andava alla trama, sul retro, e, alla fine, leggeva la prima pagina, la penultima e una pagina a caso nel mezzo. Ripeteva la stessa operazione per ogni libro che poteva interessarlo.
“Janine Ceccaldi, invece, apparteneva alla sconsolante categoria dei precursori.
Da un lato, fortemente adattati al modo di vivere prevalente della loro epoca, e dall’altro ansiosi di superarlo “dall’alto” preconizzando nuovi comportamenti o rendendo popolar alcuni comportamenti ancora poco praticati, i precursori necessitano una descrizione un po’ più lunga, anche perché spesso il loro percorso è più tormentato e confuso.”

Alex sospirò. Era proprio come pensava: nei libri ci sono le verità degli uomini. Tenne il libro e proseguì nella ricerca. Era “Le particelle elementari” di Houellebecq.
- Alex ti muovi? Voglio tornare per la lezione del pomeriggio-
- Sì, ora andiamo Ann-
Si mise a muovere con le dita le file di libri, ben incastrati l’uno con l’altro, su di un tavolo metallico al centro della sala. Libri in offerta. Li scorse una volta, poi un’altra, avanti e indietro, almeno per quattro o cinque volte, poi ne estrasse tre, li valutò, ma ne aprì solo uno, riposando sul mucchio tutti gli altri.
Non ho un ritratto in testa da far combaciare sopra una faccia, no, l’assegnazione non dipende dagli occhi, anche se non so da cosa. Aspetto d’incontrarla per saperne la figura.
Aspettare. Questo è il mio verbo a venti anni, un infinito asciutto che non sbrodola di ansia, non sbava speranza. Aspetto a vuoto.”
Alex sorrise e aggiunse il libro a quello che già portava nella mano destra. Era “Tre cavalli” di Erri De Luca.
- Hai finito?-
- Sì, due minuti soltanto e poi ti riporto in facoltà-
E corse verso i classici tascabili contemporanei. Alex adorava gli scrittori americani del novecento: i migliori, sosteneva, i più geniali nelle loro intuizioni sul futuro della scrittura e del come trasmettere un nuovo messaggio al lettore. Tuttavia, non sapeva rinunciare nemmeno ai classici, agli intrighi, alla letteratura di protesta, al coraggio delle idee impresso nell’odore nella carta riciclata. Alex pensava che quegli scrittori di settanta, ottanta anni prima già avevano visto nel futuro, descrivendo la loro società, che quelle descrizioni, quei messaggi erano un’eredità applicabile al mondo in cui viveva.
“In neolingua la parola “scienza” manca addirittura. Il metodo empirico, sul quale si basavano tutte le conquiste scientifiche del passato, è in contraddizione coi principi fondamentali del Socing. Ora il progresso tecnologico si realizza solo se quanto esso produce può in qualche modo essere impiegato per ridurre la libertà umana. In tutte le arti che abbiano una qualche utilità pratica il mondo o si trova in una situazione di stallo oppure è in fase di regressione. I campi vengono coltivati facendo ricorso all’aratro tirato dai cavalli, mentre i libri sono scritti dalle macchine”
Lo aveva già letto quel libro, ma era stato un prestito da parte di un amico. Ne voleva una copia per sé, da mettere nella sua personale libreria, così, lo prese. Era “1984” di George Orwell.
- Alex?-
- Stiamo andando...
- Sembri indiavolato quando entri in ste librerie maledette-
- Un secondo, vedo se qui c’è ancora qualcosa
- Alex!-
Ma si era già immerso nel nulla cartaceo di mondi da immaginare, da scoprire in solitudine, dove regnava il silenzio, la parola, la sincerità d un’emozione che nessuno poteva portare via in nessun modo. Questa era un po’ la prova del nove: se c’era quel libro, la libreria sarebbe stata promossa, se non c’era, non capivano niente di letteratura. Era così che Alex la pensava, una delle poche certezze della sua vita. Si mise a seguire col dito l’ordine alfabetico degli autori e lo trovò subito, ben in evidenza. Promossi tutti. Aprì il libro ad una pagina a caso, per vedere che cosa voleva dirgli oggi.
“Cos’è quella sensazione che s prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? – è il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto ci si proietta in avanti verso una nuova folle avventura sotto il cielo.”
Aveva sempre qualcosa da aggiungere quel libro e lui l’aveva letto e consultato non sapeva nemmeno quante volte. Era “Sulla strada” di Jack Kerouac. Lo rimise al suo posto, con sacra premura.
- Alex!- fece Ann su di giri
- Sì, andiamo- sbuffò Alex
- Sei impossibile, cavolo…
- Scusa-
Ann prese la strada delle scale e iniziò a scenderle, Alex la seguiva con diligenza, cercando di allungare lo sguardo verso i titoli ammucchiati ai lati, sotto i corrimano. Fu così che Ann continuò a camminare e Alex si fermò davanti ad un bel tomo, di quelli da almeno quattrocento pagine. Nella metrica di Alex erano “quelli grossi”. Lo prese in mano, copertina cartonata:
“Matthew Angeli – E la gente non sa che piscio storto”
Lo voltò per leggere la trama: non capì bene, così aprì il libro e ne lesse l’introduzione.
“Quella che andrò a raccontarvi è la storia di una rivoluzione e delle vite che vi girarono intorno. Fu la rivoluzione, forse, più romantica e ribelle tra tutte quelle che avvennero in quegli anni. È, purtroppo, una rivoluzione da me inventata, senza seguito storico, ma assicuro al lettore che, se avessi memoria lucida del mio passato, di certo, potrei affermare che tutti questi personaggi da me idealizzati vissero realmente nella Londra degli anni’60, agendo nella stessa maniera in cui io li ritraggo, perché non potrebbe essere altrimenti. La finzione è solo una gentile anticamera della realtà e, pertanto, dirò, per giuoco, che questa è la storia quasi vera della prima generazione ribelle del secolo appena trascorso.
Questa è la storia dei giovani eroi della Nuova Inghilterra.
Il perché del titolo? Perché alla gente interessa molto di più se piscio storto che di imparare un po’ di storia o leggersi un romanzo.
Buona lettura.

Matthew Angeli
Roma, li 30/09/di un anno come tanti altri”

Un’introduzione piuttosto breve, ma efficace, convenne, ridendo goffamente. Richiuse il libro e decise che l’avrebbe acquistato. A volte ci sono libri che scopri casualmente e ti basta un frase, un prima pagina letta velocemente per capire che ti cambieranno la vita, in senso metaforico, ovviamente. Quel libro, Alex valutò che fosse parte di quella categoria. Non si sbagliava del tutto perché…
- McMillan!- Ann era tornata indietro e, giudicando la sua espressione facciale, era imbufalita.
- Ho fatto, mi ero fermato a vedere questo libro – fece Alex mostrando il libro – ma ho fatto-
- Non mi interessa Alex!-
Alex la guardò bene, aveva qualcosa vicino alle labbra, con un gesto leggero del pollice le si avvicinò e gli scansò quel qualcosa dall’angolo della bocca. Le sorrise. Sono teneramente scimuniti gli innamorati e non connettono proprio coi circuiti della realtà.
- McMillan, ma sei cretino?-
- Eh?-
- Che ti metti a fare con quella mano?-
- Avevi qualcosa…
- Tu sei fuori dal mondo Alex, tu e i tuoi libri…
- Volevo solo…-
- Non vai mai a lezione, non sei mai in orario, dici e fai cose senza un senso apparente, e poi te ne stai lì, coi tuoi libri, a questionare su cose inutili…
- Cose inutili?-
- Sì, inutili, dove credi di arrivarci con quei libri? Da nessuna parte, te lo dico io che a te ci tengo-
- Ci tieni?-
- Certo, siamo amici McMillan-
- Amici…
- Sì, e stammi a sentire quindi, lascia perdere queste stupidaggini dei libri, delle paranoie filosofiche e comincia a crescere, entra nella vita reale, dove si studia e si fatica-
- Io studio-
- Non abbastanza-
- Non posso rinunciare ai libri-
- Dovresti, è da immaturi il tuo comportamento-
- Io ti amo-
- Certo, come quando ci siamo lasciati?-
- Dico davvero, io ti amo-
- …
- …
- Beh, io no, sei patetico Alex-
Ed è così che può succedere che nel peggior momento possibile, gli innamorati si svegliano dal torpore floreale del loro amore e si riprendono le redini del loro senno:
- Ma crepa-
- Che hai detto McMillan? Ripetilo-
- Ho detto “crepa”, tu, i professori e tutta la società ben pensante, siete tutti morti ancor prima d’aver vissuto, ve ne state là coi vostri bravi, buoni principi, il lavoro, lo studio, la fatica, che poi diventano il partito politico, la religione, il marito, preparare la cena, stare insieme a Natale…crepate-
- Sei pazzo-
- No, tu sei pazza, e lo sai perché è divertente?-
- …
- È divertente perché neanche te ne accorgi, né tu, né gli altri…morite ogni giorno, ogni ora un pezzetto di più che se ne va a favore del vostro dover esser un domani, nel futuro, magari qualche vecchio monolite, capo degli assorbiti mentali quali tutti voi siete-
- Noi chi? Ti droghi McMillan?-
- …e la parte più bella è che sono pure innamorato di te-
- …
- Toh, leggi un po’, magari ti rendi conto di qualcosa che sia meno finto dalla tua bella realtà da fantocci-
Alex gli buttò sui piedi i libri. Una cinquantina di “E la gente non sa che piscio storto” sui piedi di quella poveretta. Uscì fuori e si accese una sigaretta, già aveva il rimorso per le parole che aveva pronunciato poco prima. Tirò fuori dalla busta di plastica il suo ultimo acquisto…
- Già mi stai cambiando la vita, vecchio mio?- chiese
Il libro non rispose, ma Ann non partecipò alla lezione del pomeriggio quel giorno.

La radio dell’università era sintonizzata su RCC. Luca Bordon si mise in ascolto.
Venga il Tuo Regno
Il secondo capitolo riguarda la civiltà dominante, il castello, i nobili, il popolo, la bandiera issata sulla torre più alta, l'opulenza imperiale.Il secondo capitolo riguarda il Regno, i darwiniani dominatori di cui siamo semplici figli ed eredi.Se avessimo dovuto scattare un'istantanea del Regno otto anni fa, l'avremmo visto dorato, lucente, vincente, un sorriso di smacco e fascino che attraversava il mondo all'apice del suo splendore. Era l'Impero, era Alessandro magno che entrava a Babilonia.Nel giro di un anno tutto era cambiato, ma otto anni dopo, questa patina luccicante sembra essere svanita, coriandoli a terra, ruggine, vestiti stracciati, come quando una nuvola copre il sole d'estate e i colori si rimestano su loro stessi, opacizzandosi, divenendo sempre più densi di ombra. L'Impero è tornato Regno. E' una Minas Tirith della nostra realtà, che si sta preparando. E' Alessandro Magno che si ritira dall'India.Pertanto, è da questa impressione che voglio partire per descrivere lo stato vigente, descriverlo, delinearlo, disegnarlo, non commentare, se non involontariamente. Il concetto è breve e compatto come la sua enunciazione già, di per sé, eloquentemente ci comunica: limite.Limite è circoscrizione dell'espansione, è punto alla fine di una frase, è confine geografico, divisione metafisica, capienza massima del sapere come memoria massima di un hard disk.Pensando con una certa leggerezza, il concetto di limite è qualcosa che profondamente ci appartiene e che sempre poniamo come misura fondamentale del nostro prendere cognizione, del nostro osservare, analizzare, verificare, comprovare.Poniamo un limite sin dalla storia più antiche, nel momento stesso in cui poniamo il mito nella natura, e, quindi, spieghiamo sbarrandone le possibilità, cioè che non possiamo comprendere con i nostri strumenti umani. Nonostante l'evoluzione (attenti a questa parola che troverà oltre ampio spazio) che ci ha assecondati in questi millenni, abbiamo avanzato di poco il nostro vallo verso l'oltre. A dire, che oggi la popolazione media è più alta, allora alziamo i tetti delle case, poco importa guardare le stelle.Ma ho detto proprio "guardare le stelle"! Già, e fortuitamente è proprio qui che volevo arrivare, alle stelle. Perché associamo determinati immagini a determinati sentimenti? quale è la regola che permette questo?Nell'antichità la fenomenica, l'entità naturale era associata al divino, al mito. Nelle grandi religioni monoteistiche tutto è dio, perché dio è tutto, in particolare poi, nella religione cristiana Dio è Amore. Rimanete con questa idea dell'associazione all'entità Dio, del fenomeno Amore. Torneremo dopo un brevissimo intermezzo culturale.Nell'ambito della storia culturale dell'uomo (occidentale aggiungerei) si sovrappongono vari filoni, correnti artistiche che, cominciando dall'Umanesimo iniziano a dissociare l'uomo dalla religione, dalla sfera divina, focalizzandosi su di esso. Per quel che riguarda il Regno, l'Umanesimo è il solco che Romolo fece per disegnare la città di Roma.Molto tempo dopo comparirono Illuminismo e Romanticismo, la ragione e i sentimenti: sostanzialmente, la struttura che oggi tutti riconosciamo a quel particolare animale che definiamo uomo. Come noterete, se non fosse nato uno studio che avesse focalizzato sulla persona, come essere degno di autonomo spazio e non solo di essere nota a margine della lunga definizione riportata sotto la parola Dio, Allah, Vishnu e similari, non avremmo poi ingenerato quel meccanismo, tipico del metodo scientifico di ramificare e analizzare. Così dal filone unitario, l'uomo. si scinde la ragione prima e, poi, arrivano i sentimenti, inconsciamente sciorinati con lo stesso cipiglio scientifico delle menti illuminate. Da allora, con una certa cadenza, cambiando alcune piccoli variabili, ci siamo barcamenati dal Positivismo all'Esistenzialismo, alternando la predominanza di queste due caratteristiche umane.E' molto semplice e semplicistico favoleggiare in questa maniera secoli di sapere, ma voglio dare un quadro e, l'ho premesso, buttar giù un saggio non scientifico e ancor meno convenzionale.Insomma, approdiamo a questa considerazione: il Regno si basa sul concetto che l'uomo esiste e va indagato, perché l'uomo è limitato. Il caposaldo fermo, forte, sicuro, le mura aureliane di questa città sono fatte di mattoni su cui è scritto: c'è l'uomo, la natura e Dio; e di stendardi su cui in caratteri latini, medievali, gotici, vittoriani e quant'altro si riporta: ogni cosa è unita e separata.E' questa la rivelazione stupenda che i nostri avi ci hanno messo in testa e volendo tornare allo scrittore (Baricco) che scrive dei barbari, cercando di capirli, lui mi trova d'accordo nel dire che oggi ancora siamo inguaribili Romantici: perché in ogni cosa scaviamo, cercandone il senso ulteriore, il collegamento leopardiano, la tensione. In questo stirarci verso l'ignoto, l'infinito, il kantiano noumeno, ci perdiamo, ci uniamo e ci separiamo creando la scienza, l'arte, la nostra civiltà, espandendo la nostra egida sui Galli, o falcidiando con i nostri opliti, ardenti romantic, i feroci Persiani.All'epoca della nascita del Regno, Dio era forte, presente, ma non pervadente: poteva struggere l'animo di chi all'infinito riversava il suo essere, ma lo streben era un'altra cosa.Dio è Amore, come dicevamo, ma l'Amore appartiene ad una sfera del sentire che l'uomo scopre di possedere, che è sua, che lo descrive, lo limita e lo universalizza. Il nuovo giovane uomo (borghese) è il Regno, ed il Regno è lui, e se non ci sono libri sull'argomento, vorrà dire che si prenderà una penna e se li scriverà da solo.L'uomo odierno si è evoluto e rimane in alcune persone ancora romantico, trivellatore dei buchi nel cielo tappati dalle stelle. Perché le stelle, vi chiederete ora, visto che non v'ho risposto ancora.Perché è così che è nato il sentimento: la natura ha suscitato qualcosa, lo spettacolo che vi è oltre ha toccato una profondità che si è fatta sentire da un iniziale sentore, e Dio e lì dietro, dall'altra parte del palcoscenico, coperto da un sipario. Allora, tutto lega l'uomo e lo immerge come unità e come flusso.L'uomo odierno si è evoluto, ma oggi il Regno sta per crollare, e quell'implosione mi pare dovuta ancora una volta al nostro principio fondante, il limite-tutto, che, come vedremo coi barbari, qualche falla ce l'ha.Ma, intanto, dovremo parlar anche di come il funzionario del Regno vive oggi questo attacco al suo mondo, alla sua libertà relativa, figlia di un Dio benevolo e non pretenziosamente severo e figlio della superstizione. Io me lo immagino, in giacca e cravatta, portatile e trolley che, finalmente, in pubblico congiunge le mani, stringe a sè la figlia spaurita e la compagna di una vita, si piega sulle ginocchia, sul marmoreo pavimento del suo palazzo e sussurra:"Venga il tuo Regno..."Grida di barbari dalla radura.Nella prossima puntata Gengis Khan che in questa non ci poteva proprio entrare.Un grazie speciale a Baricco senza la cui intuizione non avrei potuto esaurire la mia.
- E io che pensavo di essere solo un bidello – Bordon spense la radio, prese la scopa e si diresse fuori dal suo gabbiotto.

- Scusi dov’è il bagno?
- …
- Bene, non dico che sia incontinente, ma alla terzo cameriere che non lo sa potrei inca…
Lei si girò, molto lentamente, come nei film e sorrise.
- …zza…volarmi, incavolarmi
Lei si mise a ridere sommessamente. Aveva una certa età, ma era davvero bella.
- Mi scusi…signora?
Fece segno di no.
- Signorina Jane Benitez, splendido nome, spagnola da parte di padre?
Lei molto colpita, si toccò il collo e annuì.
- Io sono Matthew Angeli, sono qui a…a…cercare un bagno
Lei continuava a sorridergli dolcemente.
- Vuole unirsi al nostro tavolo?
Fece segno di no, indicò che doveva lavorare.
- Certo, ma, le dico la verità, io sono uno scrittore, nessuno si offenderebbe se la invitassi al tavolo
- Matt, dove sei?
- Eccomi Mary
- Ma perché sei andato così, senza dir altro, hai lasciato il discorso metà…
- Meglio per loro che mi sia alzato, dicono cazzate, oh pardon signorina Benitez, volevo dire dicono fandonie, Mary conosci la signorina Benitez, lei fornisce bevande ed è…
- Fai quello che devi fare e torna da questa gente, fai meno il bambino cavolo…
Mary si allontanò a passa veloce.
- La deve perdonare, Mary è la mia assistente, un po’ nevrotica, sa la vita così dinamica di noi artisti
Matt strizzò l’occhio e Jane si mise a ridere. Lei riconobbe qualcosa in quello sguardo di così familiare ma non comprendeva cosa.
- Ora devo proprio cercare una toilette, ma lei è una donna bellissima, si faccia trovare quando avremo finito questa pagliacciata
Lui le baciò la mano, lei arrossì, lui accennò un sorriso malizioso, simulò un inchino, allontanandosi, e se ne andò alla ricerca del…
- Ehi, Schultz, ti chiami così vero?
- Sì, signore
- Dove diavolo li nascondete i cessi?

I'm Lovin' it!
"Libera nos a malo"prendendo coraggio nei pugni chiusi poggiati sul pavimento, il funzionario del Regno conclude la sua preghiera tardiva, riesce ad alzarsi, lascia mogli e figlio abbracciati e impauriti e si dirige verso la finestra, il grande arco a tutto sesto che, fa poco, si è fatto costruire per accedere al balcone.Ha ancora gli occhi chiusi.Così esce fuori, il calore del sole è tenace sul volto e alla fine decide di farcela, di sollevare le palpebre. Niente.Non c'è fumo in lontananza, non ci sono eserciti addossati alle porte del palazzo, ma, poi, di colpo, ancora quelle grida nel vento, grida violente che scuotono la terra alle radici. Il funzionario corre alla ringhiera del balcone, si affaccia e guarda di sotto, lo sguardo corre lungo le mura, fino al terreno: riconosce i nipoti di alcuni suoi amici, parenti, ragazzi sulla ventina, anche più piccoli.Rimane inerme, basito.I barbari sono entrati.Eravamo rimasti qui la volta scorsa, ma ormai sappiamo che i barbari sono entrati. Chi sono i barbari? perché non fanno macerie, saccheggi, fiamme, razzie? Dove sono i loro eserciti di pelli d'orso vestiti? perché se ne sentono le spaventose grida, ma non le luccicanti asce? Dove sono i barbari e, soprattutto chi sono, perché li chiamiamo così?Cominciamo dalle ultime domande, procedendo con alcune brevi definizioni.Barbaro (barbaros) è la parola onomatopeica che gli antichi Greci utilizzavano per denominare gli stranieri ( i "balbuzienti"), coloro che non sapevano parlare il greco, quindi non ne condividevano la cultura. Successivamente, con l'ellenismo, il significato venne a modificarsi: ogni uomo partecipe della cultura e della civiltà ellena era elleno, gli altri solo barbari incivili. Con il Cristianesimo il termine assurge a dare una definizione in ambito religioso, poi quando l'Impero Romano viene cristianizzato torna l'accento culturale che rispecchia le differenza con i non "romani", non cristiani e, pertanto, culturalmente di civiltà inferiore. Sono questi quelli che nella nostro comune ricordo scolastico-popolare sono i Barbari: Unni, Goti, Ostrogoti. Pertanto, il termine nasce con una accezione di separazione, per poi prendere la sfumatura negativa e, ancor di più, dispregiativa che arriva oggi nel nostro immaginario.Sostanzialmente i Barbari ebbero a vincere il confronto con un Impero Romano già decadente (tenete bene a mente i tratti salienti di questa storia) e iniziarono così i noti Regni Romano-Barbarici.Nella cultura cinese barbaro è sinonimo di tutte quelle popolazioni che erano oltre la cultura cinese (i Manchu, i Tartari, i Mongoli ecc...) e da cui la Cina doveva ripararsi, date le scorribande improvvise e violente che muovevano queste orde, spinte dal bisogno, dalla fame. Il primo imperatore cinese della dinastia Yuan fu Kublai Khan, nipote di Gengis, che dichiarò la zona di Pechino come capitale. L'ultimo imperatore celeste era mancese.Prendiamo la prima definizione di barbaro, quella degli antichi Greci: diverso dalla cultura greca perchè non ha nella sua sfera culturale quel linguaggio, il linguaggio dominante.Franz Grillparzer (lo potete vedere bene sulla prima pagina di Wikipedia dedicata a Beethoven) disse del compositore tedesco: "Chi verrà dopo di lui non continuerà, dovrà ricominciare, perché questo precursore ha condotto l'opera sua fino agli estremi confini dell'arte".Ancora Haydn, suo maestro e grandissimo della musica classica: "sacrificherete le norme alle vostre immaginazioni". Per non annoiare troppo userò con parsimonia le prossime due citazioni.Ludwig Van Beethoven fu il battistrada tra il tempo dei Lumi e lo spazio dei Romantici, la sua composizione artistica racchiude entrambe le influenze e le rielabora, costruendo un modello iniziale, che molti del suo tempo apprezzarono, ma ammisero di non comprendere, altri, invece, semplicemente lo ritennero stravagante, un'esagerazione del modo organico di sviluppare le idee. Gli alti e bassi, il travolgente irrompere della musica come se fossero i sentimenti dell'animo, non erano cose da sovrani illuminati, né tantomeno da razionali uomini di scienza, qualsiasi forma di scienza essa fosse. Era una divertente, ma anche pericolosa barbarie. Io oggi scrivo predecessore, loro ieri scrivevano eccentrico, egocentrico, interessato al bello, al superficiale. Beethoven invece scriveva:"Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza.". Che se ne facevano i lumi della gioia attraverso la sofferenza? Era il messaggio borghese, romantico che stava per comporsi nella sua maturità completa. Era Beethoven che scriveva ai principi che loro erano così per nascita, lui era così come era grazie a lui stesso ed era proprio per questo che non ci sarebbero stati altri Beethoven. Col senno del poi, sembra che il mondo, come dicevo nello scorso capitolo, ricerchi ancora nella profondità delle cose la loro ragion d'esser, la musica suscita emozione perché riposta emozione e, in uno dei film (e libri) più importanti della rivoluzione giovanile "Arancia Meccanica", Ludwig Van è sempre il musicista preferito del folle e distorto Alex (ma ci sarà tempo per parlare anche dei rivoluzionari). Beethoven ha attraversato il tempo perché è stato un barbaro vincente, un pò come Kublai Khan. E come il Khan, nipote del tremendo barbaro Gengis, divenne imperatore della civile Cina, così Beethoven, barbaro musicale celeberrimo, ha inconsapevolmente donato il suo Inno alla Gioia alla massima espressione della civiltà europea: l'Unione. E visto che questi noti Barbari sembrano succedersi gli uni con gli altri all'interno della civiltà costituita (riprenderemo il concetto nel quarto capitolo), perché il pagliaccio dal capello riccioluto e rosso di MacDonald's oggi dovrebbe essere una barbarie? E se domani la soundtrack della UE fosse sostituita dal Jingle del noto fast food americano?Ma cosa è cambiato in questa evoluzione storica: i mezzi, le armi, la cultura, ma non il personaggio principale, ovvero, noi, gli uomini. Gengis Khan impose la sua potenza militare, bellica, la sua predominante violenza, sviscerata dal nomadismo, dalla povertà, dalla necessità, sui popoli civili, ma ormai seduti sulle loro elucubrazioni filosofiche, in discesa senza accorgersene. Suo nipote divenne la civiltà.Beethoven, ma anche altri suoi contemporanei, non imposero le armi, ma la loro arte che scavava negli animi, tirando fuori i sentimenti, producendo quel risultato di uguaglianza nei sentimenti che ci eguaglia e rende liberi. Questi uomini avevano fame di irrazionalità, necessità di non essere principi, bisogno di valere comunque. Davanti a loro una società ancora elitaria, statica, decadente senza la capacità di comprenderlo. La sua musica, le loro opere sono il patrimonio della nostra civiltà.Ronald MacDonald si scatta le foto coi bambini, è un punto di ritrovo per i ragazzi che lo guardano e ridono, ha creato un luogo per chi deve lavorare e ha brevi pause pranzo, per le famiglie, la domenica, propone un pasto non ben identificato, ma dal buon sapore, quei colori, il jingle danno allegria, le persone chiacchierano, si scambiano informazioni velocemente, si divertono, i bimbi giocano sugli scivoli o con la sorpresa dell'Happy Meal. Le persone che frequentano questi posti fanno più cose insieme, interagiscono. MacDonald's è un'esperienza completa e accessibile a tutti, senza dovere avere doti artistiche, capaci di esprimere un sentimento. Il sentimento non c'è, c'è la sensazione, lo scambio, la capacità di comunicare rapidamente con un linguaggio facile. Davanti a MacDonald's, ai centri commerciali, ai Warner Village, ai Forum online, ma anche davanti alla casa dell'occidentale medio con cena frugale, poche parole, televisione, musica e computer accesi, ci sono i funzionari del Regno che ascoltano il loro Beethoven, arroccati sulle loro posizioni, senza capire che stanno cadendo, finché non vedono dal loro balcone i nipoti che comprano il Big Mac Menu take away e guardano l'ultima puntata del Grande Fratello.I barbari sono entrati e non ce ne siamo accorti, talmente presi ad attendere il loro arrivo.I barbari siamo noi.

"Benvenuto signore, cosa prende"
"Due Big Mac Menu a portar via e un happy meal..."
"Due nonno, due!"
"Due Happy Meal"
"Un minuto ed è tutto pronto, carta o contante?"
"Carta"
"Kublai, smettila di dar fastidio a tua sorella e prendi le cannucce, sennò non facciamo in tempo a vedere la prima puntata del GF"
"Okay nonno Gengis"
"Li scusi sono bambini"
"Non si preoccupi signore"
"Mi può dare altre bustine di ketchup?""
Sì, certo"
I barbari...

Indossò una camicia nera, sul petto, dalla parte sinistra, c’era un tatuaggio, ma non di quelli disegnati, pareva fosse marchiato col fuoco, uno di quelli fatti col ferro incandescente, che la pelle si raggrinza e raggruma ed emerge in superficie, frastagliata a comporre disegni e promesse.
RIOT c’era scritto.
Si abbottonò con disciplinata lentezza ogni bottone, poi considerò se le due estremità della camicia fossero pari, alzò il colletto ed vi pose una cravatta, sempre nera, lucida, la annodò, la parte più larga sopra la più stretta, poi la fece passare sotto, la riprese le fece fare un altro giro, e da sotto la riportò sopra l’altra parte, passando sopra il nodo che si stava creando. Infilò l’estremità dentro al nodo, tirò, e questo si strinse. Tirò la parte stretta e il nodo salì, perfetto fino al collo, diede un tocco leggero con due dita. Questioni di stile. Chiuse la patta dei pantaloni neri e allacciò la cintura. Inutile dire che anche quella fosse nera. Poi si guardò bene la faccia allo specchio, si avvicinò, fece un’espressione di disappunto, mise la mano in tasca e, col fazzoletto che estrasse, si pulì la guancia sinistra da una piccola macchia di sangue.

- Manolo?
- Sì, Luca?
- Io ho finito il turno, lascio le chiavi delle aule qui nel gabbiotto.
- okay!
- A domani…
- Speriamo di no, oggi ho giocato al lotto e sento che sarà la serata giusta.
- Certo…a domani Manolo
- A domani, a domani!
- Senti che vincerai tutte le volte…
Sussurrò Luca Bordon, mettendosi il cappotto e spegnendo le luce del gabbiotto:
-…ma non c’è nulla da vincere per noi.
Luci spente.

- Natalia, dove sono i piatti?
- Signore, lei no si preoccupi, penso io che tutto va meglio
- Sì, va bene, ma non sono abituato a stare in casa e tanto più, stare in casa a far nulla, fammi partecipare un po’, non lo diremo alla first lady eh?
- Signore Presidente, lascia stare, che poi sua moglie subito se accorge che tu hai collaborato…
- Perché?
- Perché un conto è governare a sua unione, un conto è apparecchiare una di tavola
Il Presidente scoppiò in una fragorosa risata.
- Va bene, e cosa possa fare per non sentirmi inutile Natalia?
- Può chiamare bambini e dire che è fra poco tutti si va mangiare
- Agli ordine presidentessa
Natalia sorrise:
- Ah, come si fa con lei signore Presidente
- Eh, Natalia, me lo dicono t…
Squillò il cellulare del Presidente.
- …perdonami Natalia, mi chiamano, impegni di lavoro…
- Sì, certo, a me mi paghi tanto per fare tavola
- Certo, certo, ma i ragazzi li chiamo io, non ti preoccupare
- Si signore, e chi se preoccupa
Il Presidente uscì dalla cucina e si mise in corridoio, controllò che i suoi due bambini fossero occupati. Allungò il capo nel soggiorno. Stavano vedendo la televisione, così spense il pulsante con la cornetta verde e rispose:
- Pronto?
- …
- Ancora nessun segnale?
- …
- Ormai sono passati quattro giorni, è venerdì, maledizione!
- …
- Va bene, non c’è niente di cui preoccuparsi, procediamo come stabilito

Il Presidente riagganciò il telefono e rimase a pensare, appoggiato al mobile di legno che si trovava a metà corridoio. Accese la radio, a basso volume, per non disturbare i figli.

- Pronto? Vanessa Hodgson, National Review, chi mi desidera?
- Spero nessuno…
Matthew Angeli era dietro la signorina Hodgson.
- E’ una telefonata privata! – disse lei, stizzita
- Considerando il volume della sua voce stridula, l’hanno sentita anche all’ultimo piano dell’albergo
- Mi scusi
- Le pare
Vanessa, si scostò dal professore e si diresse in un angolo più riservato del salone.
- Chi è?
- …
- Oddio, è una notizia bomba
- …
- Domani in prima pagina?
- …
- E qualcuno ne è al corrente?
- ….
- Ho capito
- …
- No, ancora non gli ho accennato nulla a riguardo, è un uomo impossibile
- …
- Sì, lo so che verrò ben ricompensata, altrimenti starei a casa a leggere i miei romanzi rosa ti pare?
- …
Vanessa rimise il telefono in tasca, prese del succo di mirtillo e si diresse verso il tavolo, dove tutti erano ormai in piedi, dato che la cerimonia era finita.

Robert Micheal De Valera mise una lunga giacca verde, da militare, sul completo nero, si diresse verso il tavolo, prese il piatto con le uova: era sporco di sangue.
Non poteva più finire la colazione, fece una smorfia di disappunto, portando il piatto al lavabo e depositandolo dentro, lasciò scorrere un po’ d’acqua, strappò dei pezzi di carta assorbente da un rotolo sul lavello, poi tornò indietro. Tamponò il sangue che scendeva a rivoli, cercando di abbattersi sulla moquette, con brevi colpi, nel tentativo di concentrarlo al centro del tavolo.
Squillò un telefono.
Non era il suo. Il suono veniva dalla giacca di Eamon McCarthy. Robert lo estrasse e guardò lo schermo. Numero anonimo. Lasciò terminare la chiamata, poi mise l’apparecchio nel borsone e chiuse tutto.
Uscendo dall’edificio, lasciò un biglietto alla Miss Darling.
Tornerò fra quattro giorni, probabilmente passerà qualcuno per dare l’acqua alle piante, ha le mie chiavi, buona giornata, De Valera.

- Ragazzi, il pranzo è quasi pronto, andate a lavarvi le mani
Il Presidente sorrise ai suoi due figlioli che stavano guardando la televisione.

- Sa che lei è proprio uno screanzato?
- Screanzato non lo diceva nemmeno mia nonna, e le assicuro che era molto più rompiscatole di lei…
- Ma come si permette…
- Non so se se ne è resa conto, ma ho cercato di evitarla per tutto il brunch…
- Lei signor Angeli sarà un grandissimo scrittore, ma ha veramente un carattere odioso!
- Signorina, crede che questo mi farà rattristare? Vuole vedere i miei occhi lucidi
- No
- E allora lasci perdere
- Quale è il suo problema?
- Oddio, ancora, tutti Freud sulla mia strada…
- Dico sul serio, cosa le manca?
- Mi manca che la gente mi lasci in pace!
- …
- …
- Lei conosce Terry Gabriel?
- No
- Conosce i Giovani Eroi della Nuova Inghilterra?
- Letto sul giornale, ma cosa c’entra? Lei è pazza?
- Ne è sicuro?
- Di cosa?
- E se le provassi che lei ne faceva parte?
- Oddio è impazzita
- Sì, credo che sia ora di andare – intervenne Stan Laurel che era lì vicino
- Prenda questo, ci pensi e poi mi chiami, a stasera professore…
- Ma che diavolo?
- Dai lo prendo io
- Cos’è?
- Un biglietto da visita Matt, lo butto?
- No dammelo

Robert Micheal De Valera si sedette in uno dei tanti Garfunkel’s di Londra.
- Cosa le porto?
- Colazione inglese, ma senza funghi, abbondi con le fried eggs, per favore
- Sì, certo, altro?
- Un succo d’arancia e un giornale
- Subito
- Grazie
De Valera prese il borsone, lo aprì e ne tirò fuori il cellulare di McCarthy, attese.
- Ecco la sua ordinazione…
- Bene
- …e il giornale
- Grazie
Era un lunedì stranamente assolato a Londra. La prima pagina del giornale recitava così:
“Conferenza di Lisbona, ultimi preparativi”
Nel sottotitolo si spiegava: “Atteso in giornata l’arrivo del ministro Nixon”
- E bene così…
Disse Robert, mettendo in bocca un fetta di pancetta croccante. Trillò il cellulare, Robert lo osservò muoversi sul tavolo, poi lo prese:
- …
- Eamon? Sei tu?
- Venitevelo a prendere
- ..chi è? Dove sei?
E riattaccò, prendendo una fetta di pane tostato.

- Pronto?
- …
- Sì, sono io
- …
- E lui?
- …
- Non credo che tornerà più in quel luogo
- …
- Mandate dei soldi alla famiglia e ditegli di mantenere il silenzio
John Smith chiuse la chiamata e si girò verso gli altri convitati.
- Scusate, lavoro…
- Tutto bene John caro? ti vedo pallido...

- Finchè avremo il Presidente al governo, nulla potrà andare male, first lady…



[ Credits: Special thanks to Fabio for the tango scene; the paintings by Blakely]

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