Programmazione

UN ROMANZO ONLINE. OGNI LUNEDI' UN NUOVO CAPITOLO.OGNI VENERDI' GLI APPROFONDIMENTI, LE SUGGESTIONI, I RIFERIMENTI CHE HANNO ISPIRATO IL ROMANZO, PER CHI DESIDERA ENTRARE IN UNA DIMENSIONE FATTA DI MUSICA, EVENTI, IMMAGINI, FILM E DIPINTI. UN MELTIN' POT DI INFLUENZE COSI' DA NON DOVER SOLO CREARE CON LA FANTASIA, MA POTER SFRUTTARE AL MASSIMO ELEMENTI CONCRETI E TRASCENDERLI PER ADDENTRARSI NELLE CITTA' IRRISOLTE.
UNA PROGRAMMAZIONE POSSIBILE SOLO SU UNA RADIO CHE NON ESISTE E TRAMETTE OVUNQUE.
OLTRE OGNI EPILOGO.

-R.S. CENCIARELLI-

Monday, October 27, 2008

Oceano Atlantico, ore 0:01 a.m., UTC -5
- Signorina?
- Sì, prego, desidera qualcosa signore?
- Un whisky e soda…e, ah, senza ghiaccio, certo, bello liscio.
Lei si gira e guarda l’hostess vecchia, la capa delle hostess e degli hostess, la vecchia odiosa maledetta arpia che prima non mi aveva voluto accontentare.
Perché io non ho nessun bubbone orribile sul naso e lei sì, suppongo.
- Che succede signorina? Perché guarda da un’altra parte? Tutto bene?
- Sì, signore…ehm…mi scusi, ma credo di non poterla accontentare.
- Perché?
- Mi fanno segno che è già il quinto in un’ora e forse…
- Beh, sono affari miei, mi scusi.
- Lascia perdere Matt
Sono riuscito a svegliare pure Mary. Cazzo, tra parentesi, scritto piccolo, senza voler essere volgari.
- Mi porti il whisky, non si preoccupi che lo pago anche se mi ubriaco come una scimmia in un laboratorio di alcolisti anonimi.
- No, mi perdoni, ma non posso proprio servirla.
- Ma che diavolo di servizio assurdo c’è su questo aereo?
Alzo leggermente la voce.
- Signore, ci comprenda, non possiamo servire alcolici in modo sconsiderato ai nostri passeggeri, ci sono delle direttive…
- Si fottano le sue direttive e mi dia il mio whisky!
Qui urlo proprio e sveglio qualcun altro, intorno al mio posto.
- Signore, la prego di mantenere il controllo.
- Matt!
Dice Mary a denti stretti, tenendomi la giacca in modo deciso.
- …okay okay, scusi, mi sono riscaldato troppo magari…
La ragazza hostess resta lì ferma, col sorriso-hostess sulla bocca:
- Cosa c’è ora signorina?
- Mi chiedevo se posso fare qualcos’altro per lei.
E sorride ancora. Allora ce l’hanno con me:
- Sì, si tolga dalla palle, è inutile quanto lo è il mio bicchiere vuoto, toglietevi dalle palle tutti e due, lei e il bicchiere.
- Matt!
Mary mi stringe la gamba, forte.
- Lo scusi è teso per il volo. Inoltre, in Italia dovrà ottemperare ad impegni molto importanti. La prego vada e non se ne abbia a male, è stata davvero molto cortese.
- Certo, signora, non si preoccupi.
- Tanto cortese da non mandarti a quel paese. Possibili che tu debba fare sempre delle scenate Mattia?
Ora mi guarda infuocata per cui dico solo:
- Che palle, era inutile no?
- Sei ubriaco.
- Certo, certo che lo sono, lo vedo anche da me. Ora lasciami dormire, lasciami passare queste ore da incubo da qui a Roma in tranquilla velocità.
- Matt…
- Ho sonno, scusami.

Aeroporto di Lisbona, ore 5:02 a.m., UTC
- Mi dà una carta prepagata per chiamare all’estero?
- Paìs?
- Cosa?
- Paìs…a dezir onde va a chamar…where?
- Ah, dove?
- Sì, onde.
- Italia.
- Italia, wait.
- Sì, aspetto.
- Ese è para Italia
- Perfetto, quanto?
- Dez euros…ehm…ten…
- Okay, ecco a lei.
- Obrigado.
- Sì sì, pure io.
Robert si strinse nel cappotto nero pesante, la carta telefonica in una mano, il borsone verde militare nell’altra, poggiato sulla spalla sinistra e si incamminò verso le cabine telefoniche.
Poggiò la borsa a terra, entrò nella cabina, si accese una sigaretta e intanto prese a liberare dalla plastica trasparente la scheda telefonica.
- Dai, stupida, ma come le chiudono ste cose…
L’inserviente che gli passò accanto col carrello, pieno di secchi e stracci e altri rifiuti lasciati dall’inciviltà dei frequentatori degli aeroporti, lo fissò per bene, si fermò e poi, quando gli sguardi si incrociarono, gli fece segno con le sue mani grinzose che non poteva fumare dentro la cabina.
Robert Micheal De Valera alzò il dito medio e tornò a concentrarsi sulla liberazione della carta. Il vecchio inserviente si mosse verso la cupola di vetro che separava l’apparecchio telefonico dall’esterno e iniziò a battervi contro con lo scopettone, quando fu abbastanza vicino, per attirare l’attenzione dello screanzato all’interno. Robert alzò di nuovo lo sguardo e si trovò, parato davanti, quello rugoso, scuro e profondo del vecchio. Fu allora che mise una mano in tasca e tirò fuori un coltello già aperto. Il vecchio sgranò gli occhi a quella vista, poi risalì dalle mani di Robert fino alla sua faccia e lo squadrò. Robert non fece altro che dare un colpetto col capo da una parte, facendo segno all’inserviente di cambiare aria se non voleva che le sue polemiche si trasformassero in qualcosa di più. Il vecchio riprese il carrello e si allontanò, ma questo Robert non lo vide perché aveva già riportato gli occhi sulla cornetta.
Aveva cose più importanti a cui pensare.
Intanto, era riuscito a strappare la pellicola che avvolgeva la scheda e l’aveva inserita nel telefono.
- …digitare 4 se vuole parlare in lingua francese, digitare 5 se…
“Ma quando tocca all’inglese maledetta signorina? La lingua più parlata al mondo e siamo anche dopo i francesi” pensò Robert. Quando fu il turno del tasto 6 per la lingua inglese, premette il pulsante corrispondente sulla tastiera e digitò il numero che gli era stato dato. Rispose una voce femminile.
- Hello?
- Jane, sei tu?
- Robert?
- Sì.
- Succede qualcosa?
- No, volevo sapere se tutto va secondo i piani.
- Tutto è come deve essere.
- Bene. Io sto tornando a Londra, sicura di farcela da sola?
- Certo Bobby, non temere.
- Non deve andare male niente.
- Lo so, non preoccuparti ti ho detto.
- Sei già sul posto?
- Sì, lo sto supervisionando.
- Bene. Non deve andare male niente, mi raccomando Jane.
- Robert, sei ossessivo, ti prego, non…
- Niente!
Robert mise giù il ricevitore, si appoggiò alla cupola con la schiena e guardò fisso una piccola crepa nel vetro. Tirò fuori dalle tasche due cuffiette e, gesticolando dentro la stessa tasca, accese il lettore mp3 e si mise in ascolto:
- Bentornati su Radio Cultura Continua, la canzone che vado a presentarvi è un classico. Un medley di due canzoni estratte dal musical Hair del 1969 e portate al successo dai 5th Dimension, ecco a voi, cari ascoltatori, eroi ed eroine, , Acquarius e Let the Sunshine in…
When the moon is in the Seventh House
and Jupiter aligns with Mars
Then peace will guide the planets
And love will steer the stars…
Continuò a fissare quella crepa per qualche minuto finché la sigaretta non era arrivata al filtro. La gettò in terra e la schiacciò col piede in modo deciso. Poi prese la borsa e si diresse verso la scala mobile.


Harmony and understanding
Sympathy and trust abounding
No more falsehoods or derisions
Golden living dreams of visions
Mystic crystal revelation
And the mind's true liberation
Aquarius! Aquarius!


Roma, ore 6:03 a.m., UTC +1

Guided by the cosmic forces
Oh, care for us;
Aquarius
Let the sunshine
Let …

- Presidente?
- Chi è?
- Monica, signore.
- Entri pure.
- Grazie signore.
- Mi dica Monica, qualcosa che non va?
- È la linea 3, il Ministro dell’Uguaglianza Economica e dell’Efficienza Sociale.
- Me lo passi.
- Subito signor presidente.
- Monica?
- Sì signor presidente?
- Mi faccia portare un altro di questi…
Il Presidente fece un sorriso sornione dei suoi, mostrando il bicchiere di whisky vuoto, un sorriso di quelli che gli aprivano la bocca, mostrando i denti bianchi e incastonandosi nelle pieghe del viso rubicondo, seppur ancora giovanile ed atletico, nonostante qualche ruga presa nelle battaglie contro l’invecchiamento:
- …stamattina, possiamo concedercelo…
E sorrise ancora.
- Certamente signore.
- Può andare Monica, è tutto per oggi, ha fatto più di quel che doveva.
- Buona giornata signore.
- Buon riposo a lei.
- Signor presidente?
- Sì Monica.
- Congratulazioni per la sua rielezione, io ne ero certo.
Il Presidente fece un’espressione da nonno malizioso e poi con tutta calma:
- Anche io ne ero certo ragazza mia. Ora vada, non vorrà far attendere il suo ragazzo per colpa di un vecchietto come me.
- Certo signore, buon giornata, ancora buona giornata.
- Buonanotte.
…ne
Let the sunshine in
The sunshine in

Il presidente alzò la schiena dalla poltrona e, con un breve scatto, portò la mano verso la manopola della radio e la giro in senso antiorario così da abbassare il volume. Amava ascoltare Radio Cultura Continua, ma non tutti la pensavano come lui, ma del resto, come in molte altre cose, lui aveva anticipato i tempi anche in questo.
Il Presidente sapeva capire le persone e, sosteneva, per capire le persone, occorre sapere cosa fanno, come lavorano, che libri leggono, che musica ascoltano, che piatti preferiscono. Il Presidente aveva una mentalità aperta perché, sosteneva, io vendo la democrazia e, perciò, sono io che devo spendere in ricerca e sviluppo per convincere i miei consumatori, per proporgli l’offerta migliore, io devo penetrare nelle persone, non devono affaticarsi esse nel capire me.
Una strategia vincente. Dopo otto anni di governo, e un anno di opposizione, e altri quattro anni di governo, il Presidente si trovava in sella per il suo quarto mandato.
Tante erano le critiche e gli onori, ma moltissimi gli onori. Lui era stato uno dei padri fondatori della UE, l’Uguaglianza Europa, uno dei padri della costituente di questo organo che si andava a sostituire alla vecchia Unione. Nella sua ascesa un uomo lo aveva sempre accompagnato, l’ex- portavoce del suo partito, già Ministro del Programma Egualitario, Ministro della Libertà e della Censura, il signor John Smith, ora ministro dell’Uguaglianza Economica e dell’Efficienza Sociale. Il Presidente alzò il ricevitore:
- John?
- Signor Presidente, ancora complimenti.
- Grazie John, come sta Annette?
- Sempre pronta e dinamica, una brava donna di casa.
- Eccellente, me ne compiaccio, come mai mi chiami a quest’ora del mattino?
- Ci sono brutte notizie signore.
- Quali brutte notizie John?
- Il Ministro dell’Equità è stato trovato assassinato a Lisbona, nella zona del Bairro Alto in un appartamento abbandonato.
- Oh Cristo, povero signor Nixon.
- Già.
- Cosa si sa? Indiscrezioni?
- Non ci sono tracce di DNA, sembra l’opera di persone ben addestrate, che sanno il fatto loro.
- Ufficialmente?
- Si indaga nell’ambiente omosessuale, così diranno i giornali stamane.
- Ovviamente.
- Ovviamente.
- Povero signor Nixon, temo che dovremo rimandare il viaggio a Lisbona quindi…
- Glielo consiglierei vivamente signore.
- Bene, faremo così…
- E anche la cerimonia di stasera.
- Mmm…
- Signore, la situazione molto delicata. Può essere stato il gesto di un cane sciolto o di qualche organizzazione di stampo post-rivoluzionario, temiamo anche un ritorno della Nuova Inghilterra.
- Capisco, ma l’evento di stasera è troppo importante a livello mediatico e sociale. È un evento pubblicizzato, atteso e, soprattutto, sponsorizzato.
- Signore, mi permetto di dissentire…
- Me ne compiaccio John, ma faremo così, la notizia uscirà domani sulla carta stampata e dopodomani nelle televisioni. Per oggi non è successo niente.
- È sicuro signor presidente?
- È tutto John.
- Come desidera.
- Buona giornata John e dia un caro saluto ad Annette.
- Presenterò signore, Buona giornata.
Il Presidente alzò nuovamente il volume della radio e si ripose nella comoda sedia di pelle. Lo studio in legno espandeva ed modellava i suoni della radio, creando un senso di torpore che stava per prendere gli occhi assonnati del Presidente insonne.
Qualcuno bussò alla porta.
- Sì?
- Il suo drink signore.
- Entri pure.
Si fece avanti un ragazzo, non più di vent’anni, magro alto, un po’ dinoccolato e, di certo, in soggezione.
- Ecco a lei, signore.
Il ragazzo consegnò il nuovo bicchiere nelle mani del Presidente.
- Grazie mille, ragazzo, come ti chiami?
- Jonathan Schultz
- Bene, bene. Lavori da molto qui?
- No, è la prima settimana.
- Avremo modo di vederci spesso.
- Speriamo signore.
sorrise il ragazzo
- Segui il football?
- Certo signore.
- Hai la ragazza?
- Sì signore.
- Bene. Vedrai la partita oggi pomeriggio?
- No signore, ho il turno al bar signore.
- Capisco…beh, vediamo un po’…
Il Presidente prese una penna e scrisse qualcosa su un foglio, poi lo diede al ragazzo:
- Questo ti esonera dal lavoro pomeridiano, consegnalo al tuo capo, io e lui siamo in confidenza. Porta la tua ragazza a fare una passeggiata e poi va a vedere la partita.
- Grazie signore, lei è gentilissimo.
- Per così poco. E ora va, altrimenti non lavori neanche stamattina. Il lavoro è prezioso, ragazzo, ma anche avere dei rapporti con gli altri lo è, non lo scordare.
- Certo signore. Grazie ancora, grazie.
- Ah…ragazzo…la prossima volta riempilo di più sto bicchiere.
- Sarà fatto, qualsiasi cosa. Oh, grazie ancora, buona giornata, signore.
Il ragazzo si chiuso dietro la porta andando via. Il Presidente iniziò a sorseggiare il suo drink, mentre la musica andava.
Il Presidente sapeva quello che le persone volevano.

Luca Bordon non sapeva affatto ciò che voleva dalla vita.
Era un vecchio sessantottino spiantato, uno di quelli che non aveva deciso di farsi riprendere dalla società, ma che la società aveva deciso di riprendersi, facendolo passare dalla porta sul retro della vita. Sulla sessantina, capelli brizzolati, faccia scarna, magro, se non per una leggere prominenza addominale ad indicare il suo utilizzo abitudinario di Nastro Azzurro e la sua età che avanzava in silenzio.
Un'esistenza anonima.
Era in quel periodo della vita in cui si prendono le ultime decisioni rilevanti circa la propria esistenza: continuare a far il bidello di una università o farsi una vita, riprendersi da quella stasi che durava da una ventina d'anni circa. Non che fare il bidello fosse un mestiere ignobili, ma Bordon non era sposato, niente figli, niente amici, nessuna relazione, una passione per le lingue straniere che mai aveva imparato e che adorava ascoltare la sera, mentre scongelava la cena, girando tra i telegiornali internazionali che, a rotazione, si alternavano sul suo televisore. Meraviglie della TV satellitare della UE.
Da qualche tempo si era messo anche a navigare su internet tra quei siti che ti aiutano a cercare l’ anima gemella, l'altra metà del cielo ecc ecc... Insomma, lui ci voleva credere e il suo nome di battaglia era Falco46.
Falco46.
Un giorno, per caso, aveva intrapreso una conversazione con una persona molto riservata, ma incredibile per la quantità di argomenti in comune che condivideva.
Dopo un mese di scambi di idee, parole, esperienze, avevano cominciato a scriversi per lettera, come si faceva tanto tempo fa. Il vecchio Bordon, così, s'era ricordato come ci si sentiva da giovani, o meglio, quando lui era giovane e le ragazze e i sogni, di certo, non gli mancavano.
Ricordava il suo viaggio folle in Tibet, all’apice della loro rivoluzione, la visione della città di Lhasa, l'emozione di quello che sapeva spiegare solo nei suoi pensieri, l'unico epico racconto della sua vita che potesse dire di aver vissuto. Solo in quei fogli di carta, scritti a penna, riusciva ad esprimere altro, tutti quei sentimenti e quell'amore che gli erano stati raccontati solo dai pochi libri che gli passavano sotto mano.Così, dopo un anno d'amorosa corrispondenza, in una delle coversazioni, meno cartacee, su Live Messenger, prese il coraggio di scrivere:"Incontriamoci"La risposta, con sua grande sorpresa, non si fece attendere:"Fra tre giorni" e si indicarono il luogo, l'ora, il modo per riconoscersi l'un l'altro: avrebbero avuto in mano un fiore giallo. Tutto qui, tutto semplice, sincero, romantico, profumo d'antico.Luca Bordon, bidello in pausa di riflessione, stava fermo, appoggiato ad un palo della luce, una rosa gialla in mano in una mattina che annunciava pioggia.Passò mezz’ora rispetto a quella concordata per l'appuntamento. Doveva andare a lavoro. Aspettò ancora un'altra mezz’ora.
Si sarebbe giustificato incolpando i ritardi dei mezzi pubblici.
Restò comunque l'unico con un fiore giallo in mano quella mattina, su quella piazza. Si mise il cappello in testa, si lasciò cadere il fiore dalle mani, verso terra. Cominciò a piovere.

L’inquadratura sulla piazza si apriva mostrandone tutta l’ampiezza, la forma quadrata, i palazzi, ormai resi seriosi dalle ruvide gocce di pioggia. Più lo scenario era preso dall’alto, più emergeva la pochezza dei particolari: qualche passante, una vecchia appoggiata ad un banchetto, l’indiano che vende le caldarroste al lato della strada, qualcuno si tiene il giornale in testa attraversando la strade che divide la piazza dalla galleria, altri, più saggi attendono sotto le arcate che smette di piovere, una donna è ferma, dietro una colonna.
È l’unica che sta osservando quel fiore cadere. L’unica che sa chi sia e cosa stia facendo lì Luca Bordon, bidello che crede, o forse, da quel momento, credeva, nell’amore.
Lei lo guarda allontanarsi, sotto la pioggia, bagnato, senza che se ne accorga, come se la pioggia non lo colpisse.
Il dolore di essere traditi non è lavato da nessuna pioggia. È un denso impermeabile dell’anima.
Sul volto di lei scende una lacrima, facilmente coperta dalla pioggia, un signore, vestito di tutto punto, la nota:
- Tutto bene signora?
- Sì, sì, tutto bene.
- Mi scusi, ma mi era parso che piangesse.
- No, è la pioggia, quest’aria.
- Occhi sensibili?
- Già, occhi sensibili…
- La capisco, ci soffro anch’io. Beh, se va tutto bene, le auguro una buona giornata.
- Arrivederci.
Si raccolse nel suo impermeabile marrone, tirando fuori i suoi splendidi capelli, si aggiustò delicatamente il trucco intorno agli occhi con un dito, poi prese i grandi occhiali neri e se li poggiò sul naso.
Occhi sensibili, pensò sorridendo amaramente.
Occhi pieni di sensibile umida solitudine, come le giornate di pioggia. Occhi perduti dietro l’ennesima occasione che va via, segnando orme sul bagnato, annacquandosi come una tela diluita dall’olio. Occhi di pioggia, dopotutto.
Prese l’ombrello che teneva appoggiato ad una colonna del porticato, lo aprì sopra di sé e si mosse nella città. Aveva altro da fare.

Così la nostra immagine esce fuori da quella galleria, riprende ancora la nostra piazza, il fiore giallo che si fa piccolo in lontananza, sfaldandosi sotto i colpi mitragliati dal cielo. Grande è la città e le strade si assottigliano, ma per tornare grandi in poco tempo, perché Luca Bordon è solo qualche isolato più avanti in una piazzetta di sosta, in attesa dell’autobus che lo porti a lavoro.Tre giorni ad aspettare. Tre giorni. Non facciamo altro che aspettare e sperare.E fumare, a volte.Fermo lì, la mia brava sigaretta, a sperare. Quando c'è qualcosa in cui si crede di poter credere, ci si aggrappa alle sue vesti, specie se ha una figura umana e tu sei solamente uno dei tanti volti di una città che scende frettolosamente dal letto.La coinvolgente sensazione di sperare che prende, afferra, il groppo alla gola, il pensiero che fa ridere e tutti si chiedono perché quell'idiota lì, che poi sarei proprio io, stia ridendo, le parole che non sento perché viaggio su altre frequenze, il silenzio che parla davvero e chissenefrega quello che dice, mi pare già straordinario poterci conversare, l'attesa che stride nei denti, la meraviglia, mai provata, per la noia di un giorno di pioggia, osservato da una finestra di un qualche luogo che non mi interessa realmente identificare, e guardo tutto, piccolo extraterrestre neonato con gli occhi illuminati dalla natura profonda che nutre, semplifica e avvolge nel mistero le cose del mondo, il ramo intrecciato di quella quercia, la luminosità di un sasso bagnato, illuminato da una luce di provenienza ignota, dato un sole coperto e rubato. E, alla fine, sono proprio un monaco tibetano seduto sulla montagna della felicità potenziale, in preda a mistiche visioni, finalmente rosee, e anche un pò gialle, sul mio futuro e ci sono tutte le persone che conosco e qualche drago, cavaliere e fata sfusi.E poi che succede? Assolutamente niente. Come se, mentre te ne stai sul picco della Terra a goderti la contemplazione del tutto, arrivasse un netturbino e "oh, scendiamo da sta montagna di immondizia? C'ho da lavorare io!" e tu:
- Eh?
e poi scendi, niente più tuniche rosse, sguardi toccati dallo spirito della storie degli uomini, ma occhi torvi, scuri, sopracciglia incurvate verso l'alto, facce scontente, palazzi scoloriti, cielo grigio, una barbona appena svegliatasi, anche lei, in questa realtà senza sogni, che smuove un pò la misera coperta di cartoni. "Life is now" c'è scritto.Traduco.Reduce dell' esperienza nella Lhasa della mia anima, ancora ce la faccio a sorridere per l'ironia bastarda di questo aggregato di uomini, asfalto, macchine e cemento. A volte, sa essere comico in un modo tutto suo.A volte.Il fumo della città.Non capita mai nulla che venga a cambiare questa vita, mi chiedo. Qualcosa di positivo intendo. E quando la vedo lì davanti, che arriva, la vedo, so che è lei, la mia speranza, la mia svolta, resto immobile con le braccia aperte e rimango solo, la sensazione che un ectoplasma mi trapassi e la tristezza d'averci creduto. Tanti altri fantasmi entrano uno nell'altro, ma non hanno quei capelli che volevo, non quegli occhi, non quelle mani. In definitiva, sono solo persone che si scambiano anime e pensieri senza accorgersene. Solo il neon di una città che si fa notturna di temporale sin dalle prime ore del mattino. Una macchina non si ferma al passaggio pedonale, il verde del semaforo dura il respiro d'un uomo anziano, l'autobus è pieno e sto stretto, in piedi, soffocato o, forse, sto solamente reimparando la mia quotidianità.- Scusi, scende?
- No
e resta ferma. La logica sottostante ad una domanda è un esercizio intellettuale troppo complesso per la signora occhi di falco, buste della spesa, foulard sui capelli che già ha deciso di odiare quello che gli sta intorno, di non capire, di imprigionarsi altrove.
- Scusi, dovrei scendere
Lei si scansa senza dir niente.Scendo dall'autobus, mi avvio verso la fermata della metropolitana, il coglione che va forte sul bagnato mi spedisce un'onda di oceano-pozzanghera sulla parte destra dei jeans. Considero la situazione, tenendo i calzoni con una mano e analizzandoli.Scoppio a ridere.Allora m'accendo una sigaretta, una di tante, mi siedo su un muretto, uno di tanti, vicino a me un vecchio, due ragazze, una mamma col bambino, un signore con un cane. Sono ancora uno di tanti. Mi chiedo se qualcuno di loro abbia mai visto la sua Lhasa. Butto fumo dalla bocca.Passa il tram, mentre mi scorre davanti agli occhi, ho tempo di leggere."Life is now" c'è scritto.Come se non lo sapessi già.

Roma, ore 6:06 a.m., UTC+1
- La vita è adesso ragazzi e per questo voglio sentirvi urlareee, i wanna hear you scream Roma!

Due ragazzi stanno ridendo senza senso sulle scale per andare verso il bagno, uno è steso per terra. Credo stiano aspettando i buttafuori per farsi cacciare a pedate: ci sono molte, troppe persone ubriache in discoteca, ma è altrettanto divertente vedere che non se ne accorgano. Poi ci sono un buon venti per cento di personaggi persi nei loro marasmi etilici, come quei due, che finiranno la serata, i piedi tirati da qualche gorilla, loro a strillare, le rispettive ragazze, se ne hanno, a inveire come in una di quelle scene che si vedono alla TV quando arrestano dei potenziali kamikaze in Iraq.
Io bevo poco.
Mi piace gustare, bere, ma se eccedo poi parto per la mia tangente e inizio a sparlare, confessando indiscrezioni poco sagge da rivelare. Sara, beh, lei non dovrebbe bere neanche un goccio di coca-cola, ma, come lei adora affermare, detesta birra e vino, ma non i superalcolici. Così, ti ritrovi a dover subire i suoi deliri da beona fino alle due, le tre di notte, quando se ne va al pub con le amiche, per le loro serate “solo donne”, e ti telefona, avendo Alex astutamente spento il suo cellulare, per scaricarti tutta la depressione del globo terrestre.
Storie di alcol giovanile.
Jean, invece, è uno col sistema circolatorio fatto di vene, arterie e tubi di vino: beve molto, ma sa regolarsi e, raramente, inizia a raccontarti tutto sul senso profondo e in districabile della nostra esistenza.
Alex, invece, trangugia. È un tipo che regge bene, certo, il problema, però, è che si posiziona anche nella fascia della popolazione che beve troppo rispetto alla media: non puoi contestare il suo “diritto di bevuta”, ma così va a finire che una volta su quattro bisogna portarlo a braccio perché barcolla da qualsiasi parte.
- Nicolas, vieni!-
- Sara, che c’è?
- Alex…
- Ho capito
Insomma, succede quasi sempre, visto?

- Dai, ragazzi, volete andare via adesso?
- Nooooooooooooooo
- Ma chi ve lo fa fare? Qui da noi, i questa disco, fino al mattinooooooooooooo! Fino al mattino, fino al mattino, fino al mattino
- Ma che avrà da urlare, fra un po’ albeggia e ancora scalpita come una verginella al ballo di fine liceo
- Come stai?
- Eh?
- Come stai?
- Bene, perché?
- Sei stato un’ora a pronunciare sillabe senza senso…
- Chi, io?
- Sì, tu
- Fantastico…
- Sei giovane, dovresti bere di meno, ora come ti senti?
- Bene grazie
- Sicuro?
- Ma tu quanto anni hai?
- Ventidue
- Anche io
- Sembri più giovane
- Me li porto bene
- Piacere, mi chiamo Laura
- Piacere, Alexander
- Bel nome, sei straniero, Alex?
- No, i miei genitori sono stati particolarmente originali il giorno del mio battesimo
- Sei simpatico
- Grazie
- …
- …
- Da dove vieni?
- Milano, tu?
- Abito qui a Roma
- Perché ti sei sbronzato così tanto? Problemi?
- …
- …
- Che fai a Milano?
- Studio e lavoro come cameriera, mi sto prendendo una piccola vacanza, tu che fai?
- Il barman
Bugia enorme
- Davvero? E come mai non lavori di venerdì sera?
- Mi sono preso una piccola vacanza pure io
Bugia divertente
- Comunque ora stai meglio, no?
- Sì, sì
- Beh, almeno dai risposte di senso compiuto
- …
- …
- Ci andiamo a prendere qualcosa al bar? Vuoi, Alex?
- Certo, come no, ormai mi è passata la sbornia tanto
Bugia colossale e poco salutare per il prosieguo della serata.

Insomma, come immaginavo, la serata si è conclusa con io che mi sono dovuto caricare Alex, che sbiascicava, fuori dal locale:
- Ho incontrato una incredibile ragazza di Milano o di Terni, mica mi ricordo e poi c’era quell’uomo orso delle montagne…
- Sì, Alex, metti i piedi uno dietro l’altro intanto
- Così, abbiamo preso la macchina e siamo andati a fare un giro…e già
- Collabora, per favore…
- Yesss.
All’uscita dal locale era pieno di ragazzini che ancora ballavano, come se ci fosse la musica nell’aria fredda del mattino, luci appese sul cartone di stelle sbiadite, e barman che vendevano cornetti caldi. Zampettavano come grilli, a voce alta, agitavano le braccia, mentre si allontanavano, buttandosi uno contro l’altro e, poi, cominciavano a ridere. Effettivamente, la musica c’era, mi batteva ancora nei timpani, la sentivo rombare, ritmica, e smuovermi il corpo, a piccoli brividi e spasmi. Non fossi stato così distaccato da quel mondo e così appesantito da quel sacco umano che era Alex, forse, mi sarei messo a ballare anch’io.
- Stavolta avevi ragione…
- E c’era anche Matt che stava andando a fare delle corse clandestine con la sua Jaguar, e…non è che mi ricordi benissimo…
- Sono tutti annientati, sembra che non vorrebbero fare altro-
Per un attimo, Alex mi prese la camicia con forza, tirando con la mano sinistra con cui si appoggiava a me, io mi voltai per guardarlo, lui mi fissava con uno sguardo lucido, severo implacabile. Subito dopo tornò a ciondolare col capo e impastò una sorta di frase che non afferrai:
- …lllli…n…tte..ia….tutto-
- Che cosa?
Polli in batteria, aveva detto, ma lo capirete in seguito.
Facemmo giusto in tempo ad arrivare alla macchina che Alex si addormentò sul sedile posteriore.
La notte cominciava a dar spazio al chiarore e la nostra macchina si immergeva nel silenzio delle strade di una città ancora assonnata.

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